La macchina strizzafegato

di Charles Bukowski / 1967

Charles Bukowski

Danforth appese i corpi uno ad uno dopo che l’asciugatrice meccanica ebbe finito di strizzarli.
Bagley sedeva ai telefoni, “quanti ne abbiamo fatti?”
“19. proprio una buona giornata.”
“merda, è proprio così, sembra proprio una buona giornata, quanti ne abbiamo piazzati ieri?”
“14.”

“discreto, discreto, se continuiamo così faremo un mucchio di grano, l’unica preoccupazione che ho è che potrebbero chiuder baracca in Vietnam,” disse Bagley dei telefoni.
“non dir stronzate, c’è troppa gente che s’ingrassa sulla guerra.”
“ma la Conferenza di Pace a Parigi…”

“non mi sembri in te oggi, Bag. sai bene che passano la giornata a far niente, a scherzare dalla mattina alla sera, ritirano lo stipendio e tutte le notti vanno ai night di Parì, quella sì che è gente che vive bene, non hanno nessuna voglia che la Conferenza di Pace finisca proprio come non vogliono che finisca la guerra, ingrassiamo un po’ tutti e senza un livido, è una bellezza, e se per sbaglio finisce quella guerra, ce ne saranno delle altre, ci sono zone calde in tutto il mondo.”

“eggià, mi preoccupo sempre troppo.”
squillò uno dei tre telefoni sulla scrivania. Bagley sollevò il ricevitore.
“agenzia soddisfatti e rimborsati, parla Bagley.”

si mise ad ascoltare, “si, sì. ce l’abbiamo un buon analista dei costi di produzione, stipendio? 300 dollari per le prime due settimane, cioè 300 la settimana, la paga delle prime due settimane la intaschiamo noi poi gliene daremo 50 la settimana oppure lo licenziamo. se invece siete voi a licenziarlo dopo le prime due settimane, saremo noi a dare a voi cento dollari, perché? beh, ma insomma, ma com’è che non capite? l’idea è quella di far del movimento, è una faccenda psicologica, come Babbo Natale, quando? si, ve lo spediamo subito, qual è l’indirizzo? perfetto, perfetto, sarà subito da voi: non dimenticate i termini del l’accordo, ve lo spediamo con un contratto, salve.”

Bagley riattaccò, canticchiò tre sé e sé, sottolineò l’indirizzo, “trovagliene uno, Danforth. uno nato stanco, pelle e ossa, non serve a niente mandargli il migliore al primo colpo.”

Danforth si avvicinò al sostegno metallico tipo appendiabiti e apri il morsetto che stringeva le dita di un tizio dall’aria stanca e dal corpo ossuto,
“portamelo qui. come si chiama?”

“Herman. Herman Telleman.”

“cazzo, ma non mi sembra mica a posto, sembra che abbia in corpo ancora un po’ di sangue, e poi vedo che ha ancora qualche sfumatura di colore negli occhi… almeno cosi mi sembra, ascolta, Danforth, mi raccomando, fai funzionare a modino quelle macchine asciugatrici, voglio che gli strizzi il fegato a puntino, niente forme di resistenza, mi capisci? tu fai il tuo mestiere che al mio ci penso io.”
“quando sono arrivati qui dentro non erano pochi i duri, c’è gente che ha più fegato di altra, sai com’è. un’occhiata non basta mica sempre.”

“va beh, proviamo con lui. Herman, ehi, ragazzo!”
“che volete, paparini?”
“ti andrebbe di fare un lavoretto?”
“ah, maledizione, no!”
“cosa? ti rifiuti di fare un lavoretto?”
“che cazzo mi frega? mio padre, era del New Jersey, non ha fatto che sgobbare per tutta la vita e dopo il funerale che abbiamo pagato coi suoi soldi, lo sapete quanto ci aveva lasciato?”
“quanto?”
“15 centesimi e la fine di una vita che più noiosa non si può.”
“ma allora tu non le vuoi una moglie, una famiglia, una casa, la rispettabilità? una macchina nuova ogni tre anni? ”
“non ho mica voglia di farmi spolpare, simpaticoni, non vorrete mica farmi finire in una gabbia di matti? chiedo solo di fare il lavativo, io. che cazzo credete?”

“Danforth, dai una ripassatina a questo bastardo nella macchina strizzafegato e assicurati che i morsetti siano ben stretti!”
Danforth afferrò il signorino ma prima Telleman riuscì a gridare “vaffanculo te e tua mamma…”
“e strizzagli il fegato più che puoi, non trascure NEMMENO UN ANGOLINO! mi senti?”
“d’accordo, d’accordo!” rispose Danforth. “merda, qualche volta penso che sia tu a tenere il coltello dalla parte del manico!”
“lascia stare i coltelli, strizzagli il fegato. Nixon potrebbe anche decidere di finir la guerra.”
“ecco che ricominci a dir stronzate! secondo me, Bagley, non hai dormito a sufficienza, c’è qualcosa che non funziona in te.”

“certo, certo, hai ragione, l’insonnia, secondo me dovremmo creare dei soldati, è il mio chiodo fisso! mi rigiro a letto per tutta la notte! che affari mera­ vigliosi potremmo fare!”
“Bag, con quel che passa il convento facciamo il massimo, niente di più e niente di meno.”
“d’accordo, d’accordo, l’hai già fatto passare per la strizzafegato?”
“già due volte! gli ho tolto tutto il fegato, vedrai.”
“ottimo, pilotamelo qui. facciamo una prova.”

Danforth riportò Herman Telleman nella stanza, era leggermente cambiato, i suoi occhi non avevano più colore e sulla faccia si era stampato un sorriso totalmente falso, una meraviglia.
“Herman?” chiese Bagley.
“sì, signore?”
“cosa senti? o cosa ti senti?”
“non sento niente, signore.”
“ti piacciono i piedipiatti?”
“non si chiamano piedipiatti, signore, si chiamano poliziotti, loro sono solo le vittime della nostra malvagità anche se alle volte ci proteggono sparandoci addosso, mettendoci in prigione, picchiandoci e dandoci le multe, non c’è un solo piedipiatti che sia cattivo, volevo dire poliziotto, ma lo capisce che se i poliziotti non esistessero dovremmo essere noi a farci carico della legge?”
“e cosa accadrebbe?”
“non ci ho mai pensato, signore.”
“eccellente, credi in Dio, tu?”
“ma certamente, signore, in Dio, nella Famiglia, nello Stato, nella Nazione e nel lavoro onesto.”
“gesù cristo!”
“cosa, signore?”
“scusami, ascolta, adesso, pensi che sia giusto fa re gli straordinari ?”
“oh, certo, signore! se fosse possibile lavorerei sette giorni la settimana e se potessi farei il doppio lavoro.”
“perché?”
“per via dei soldi, signore, soldi per il televisore a colori, automobili nuove, mutuo della casa, pigiama di seta, 2 cani, rasoio elettrico, assicurazione contro le malattie, per tutti i tipi di assicurazione e di istruzione universitaria per i miei figli, se ne avrò, e porte automatiche nel garage e bei vestiti e scarpe da 45 dollari, e macchine fotografiche, orologi da polso, anelli, lavatrici, frigoriferi, poltrone nuove, letti nuovi, moquette, elemosine per la chiesa, riscaldamento automatico e…”
“d’accordo, fai punto qui. ma quand’è che userai tutte queste cose?”
“non comprendo, signore.”
“cioè, visto che lavoreresti giorno e notte, straordinari inclusi, quand’è che potrai goderti tutti questi lussi?”
“arriverà il giorno, arriverà il giorno, signore!”
“e non pensi che un giorno i tuoi figli cresceranno e penseranno che sei stato uno stronzo?”
“dopo che mi sarò consumato fino a ridurmi a pelle e ossa per loro, signore? certo che no!”
“eccellente, adesso qualche altra domanda.”
“sì, signore.”
“non credi che quelle tue gran sgobbate siano dannose alla salute e allo spirito, all’anima, se preferisci…?”
“maledizione, se non lavorassi dalla mattina alla sera, passerei il tempo a bere o a dipingere o a scopare o andrei al circo o me ne starei al parco a guardar le anatre, cose così.”
“non credi che sia bello stare al parco a guardar le anatre?”
“ma se facessi così non potrei guadagnarmi da vivere, signore.”
“o.k., vaffanculo.”
“prego?”
“cioè, non ho più niente da chiederti.”

“o.k., questo è bell’e pronto, Dan. ottimo lavoro, dagli il contratto, faglielo firmare, non credo proprio che starà lì a leggere la parte stampata in piccolo, ormai è convinto che noi siamo delle brave persone, fallo trottare fino all’indirizzo, lo assumeranno. sono mesi che non mando in giro un analista dei co­ sti di produzione.”
Danforth fece firmare il contratto a Herman, gli diede un’altra controllata agli occhi per essere sicuro che fossero spenti, gli mise in mano il contratto e l’indirizzo, lo accompagnò alla porta e gli diede una spintarella per fargli scendere le scale.

Bagley si mise a sedere comodamente con un sorriso di trionfo stampato in faccia e guardò con interesse Danforth che faceva passare gli altri 18 per la strizzafegato. dove andasse a finire il fegato di quella gente era difficile vederlo ma praticamente tutti finivano per perdere il fegato in una fase o nell’altra del trattamento, quelli etichettati “sposati con famiglia” o quelli “sopra i 40” si facevano strizzare il fegato con estrema facilità. Bagley se ne stava comodamente seduto mentre Danforth li faceva passare avanti e indietro per la strizzafegato. li sentiva parlare:

“per un uomo della mia età è difficile trovar lavoro, oh se è difficile!”
un altro disse:
“oh, baby, fa freddo fuori.”
e un altro:
“certo, mi sono divertito la mia parte, e adesso…”
un altro:
“non so far niente, ogni persona dovrebbe saper fare qualcosa, non so far niente, e adesso cosa faccio?”
un altro:
“ho fatto il giro del mondo – grazie all’esercito – conosco un mucchio di cose.”
un altro:
“se potessi ricominciare da capo, farei il dentista o il barbiere.”
un altro:
“le case editrici mi stanno restituendo tutti i romanzi, i racconti e le poesie che scrivo, merda, non posso mica andare a New York per conoscere gli editori di persona! ho più talento di tutti gli altri ma bisogna conoscere le segrete cose! prenderò ogni lavoro che mi verrà offerto anche se sono superiore ad un lavoro qualsiasi perché sono un genio.”
un altro:
“ma non vedete come sono carino? guardate che nasino! guardate le mie orecchie graziose! guardate che capelli! lo stile con cui mi muovo! ma non vedete come sono carino? ma non vedete come sono carino? ma perché non piaccio a nessuno? sono tutti gelosi, gelosi, gelosi…”
il telefono squillò un’altra volta.

“agenzia soddisfatti e rimborsati, parla Bagley. voi cosa? avete bisogno di un tuffatore per fondali profondi? porco dio! cosa? oh, mi scusi, certo, certo, abbiamo dozzine di tuffatori per fondali in cerca d’impiego, le prime due settimane di paga sono per noi. 500 la settimana, è un lavoro pericoloso, lo capite, molto pericoloso – cirripedi, granchi, tutte quelle… alghe, sirene sugli scogli, piovre, malattie da tuffatori, raffreddori, cazzo, sì. la paga delle prime due settimane è per noi. se lo licenziate dopo due set­timane vi restituiremo 200 dollari, perché? perché? se un pettirosso facesse delle uova d’oro nella poltrona del soggiorno di casa vostra chiedereste forse perché? davvero? nel giro di 45 minuti vi faremo avere un tuffatore! qual è l’indirizzo? bene, bene, ah, sì, bene, è vicino al Richfield Building. sì, lo conosco. 45 minuti, grazie, arrivederci.”

Bagley riappese, era già stanco e la giornata era appena cominciata.
“Dan?”
“sì, dolcezza?”
“portami un tipo adatto a fare il tuffatore da fondali profondi, leggermente grasso intorno alla vita, peli sul petto in quantità media, calvizie prematura, occhi azzurri, leggermente stoico, leggermente curvo, vista cattiva e un principio di cancro alla gola non ancora scoperto, ecco come deve essere un tuffatore di fondali profondi, lo sanno tutti come deve essere un tuffatore di fondali profondi, adesso portamene uno, dolcezza.”
“d’accordo, stronzo.”

Bagley sbadigliò. Danforth ne staccò uno. lo spinse avanti e lo piazzò di fronte alla scrivania, sulla targhetta c’era scritto, ” Barney Anderson.”
“salve Barney,” disse Bag.
“dove mi trovo?” domandò Barney.
“all’AGENZIA SODDISFATTI E RIMBORSATI.”
“cavolo, se voi due non siete una coppia di figli di puttana con tendenza alla leccaculaggine, vuoi dire che non ne ho mai incontrato nessuno prima di ora! ”
“che cazzo succede, Dan?”
“ma se l’ho fatto passare quattro volte nella striz zafegato.”
“te l’avevo detto io di stringere i morsetti!”
“e io ti avevo detto che ci sono degli uomini che hanno più fegato degli altri !”
“ma è un mito, scemo!”
“chi sarebbe lo scemo?”
“siete scemi tutti e due,” disse Barney Anderson.
“voglio che tu faccia passare quest’uomo per tre volte nella strizzafegato. ” disse Bagley.
“d’accordo, d’accordo, ma prima mettiamo le cose a posto tra noi due.”
“d’accordo, per esempio… chiedi un po’ a questo tizio, Barney, chi sono i suoi eroi.”
“Barney, chi sono i tuoi eroi?”
“beh, lasciatemi pensare un attimo – Cleaver, Dillinger, Che, Malcolm X, Gandhi, Jersey Joe Wal cott, Grandma Barker, Castro, Van Gogh, Villon, Hemingway.”

“vedi, s’identifica con i perdenti, lui. è una cosa che lo fa star bene, adesso gli daremo una mano noi. lui s’è fatto fregare con il trucchetto dell’anima, così noi potremo fargli il culo, l’anima non esiste, è tutta una fregatura, gli eroi non esistono, i vincitori non esistono – è tutta una fregatura e una gran cagata. i santi non esistono, i geni non esistono – son tutte fregature, tutte favole, è così che va avanti il giochetto. ognuno cerca solo di tirare a campare e d’aver fortuna – se ci riesce, il resto non sono che stronzate.”
“d’accordo, d’accordo, vado matto per i tuoi perdenti! ma cosa ne dici di Castro? mi sembrava ingrassato per benino nella sua ultima foto che ho visto.”
“lui riesce a sopravvivere solo perché gli Stati Uniti e la Russia hanno deciso di lasciarlo nel mezzo. ma supponiamo che decidano di metter le carte in tavola, che carta può pescare lui? amico, ma se non ha nemmeno abbastanza fiches per andare in un casino egiziano decrepito.”
“andate affanculo tutti e due! mi piace chi mi piace!” disse Barney Anderson.

“Barney, quando un uomo arriva ad una certa età ormai è in trappola, ha abbastanza fame, è abbastanza stanco – beh, succhierà cazzi, tette, mangerà merda pur di restare in vita; o mangia questa minestra o si butta dalla finestra, la razza umana non ha alternative, amico, è una folla incattivita.”
“ma noi la cambieremo, amico, ecco il trucco, se siamo capaci di arrivare sulla luna siamo capaci anche di pulire il cesso, fino a questo momento ci siamo concentrati sui problemi sbagliati.”
“ma tu sei malato, ragazzo, e stai mettendo su pancia, e stai andando in piazza. Dan, mettimelo in forma.”

Danforth afferrò Barnev Anderson e lo appallottolò, lo strizzò e lo scremò per tre volte nella strizzafegato, poi lo riportò indietro.
“Barney?” gli chiese Bagley.
“sissignore! ” “chi sono i tuoi eroi?”
“George Washington, Bob Hope, Mae West, Richard Nixon, le ossa di Clark Gable, tutte quelle bra ve persone che ho visto a Disneyland. Joe Louis, Dinah Shore, Frank Sinatra, Babe Ruth, i Berretti Ver di, tutto l’esercito degli Stati Uniti e la sua marina, soprattutto i marines, il ministero del tesoro, la CIA, i’fbi, la United Fruit, la polizia stradale, il dipartimento di polizia di Los Angeles dal capo sceriffo in giù, e anche i pizzardoni, mi scusi, non volevo dire pizzardoni, volevo dire guardie municipali, e poi c’è Marlene Dietrich, con quel gran spacco sul vestito, ma non ha 70 anni adesso? – ballava a Las Vegas, l’uccello m’è venuto duro, che donna meravigliosa, la buona Vita Americana e i buoni Soldi Americani ci possono dare l’eterna giovinezza, non capite?”

“Dan?”
“si, Bag?”
“questo qui è prontissimo, la mia riserva di sentimenti è quasi a secco, ma questo arriva a disgustarmi, fagli firmare il contrattino e sbattilo fuori, andranno matti per uno così, dio mio, cosa deve fare un uomo, solo per tirare a campare, qualche volta arrivo al punto di odiare il mio lavoro, non è mica una cosa carina, eh, Dan?”
“hai ragione, Bag. e non appena avrò spedito via questo coglione, tirerò fuori una cosettina tutta per te – un’ombra del caro vecchio tonico.”
“ah, bene, bene… ma cos’è?”
“solo un quarto di giro nella strizzafegato.”
“cosa?”
“oh, ma ti fa bene quando sei depresso o ti viene in testa qualche pensierino estemporaneo, cose cosi.”
“ma funziona?”
“meglio dell’aspirina.”
“o.k., togli dai piedi quel coglione.”
Barney Anderson venne spinto giù per le scale.

Bagley si alzò e si avvicinò alla strizzafegato più vi cina,
“queste due gallinacee – Mae West e Marlene Dietrich, che fanno ancora vedere le tette e le gambe, ma non ha nessun senso, lo facevano già quando avevano sei anni, ma come fanno? ”
“sono pazze, guaine, busti, cipria, lampade al quarzo, lifting, imbottiture, carenature, paglia, merda di cavallo, possono arrivare al punto di far passare tua nonna per una sedicenne.”
“mia nonna è morta.”
“sarebbero in grado di farlo anche così.”
“già già, penso che tu abbia ragione.” Bagley si avvicinò alla strizzafegato.
“solo un quarto di giro, subito, posso fidarmi
di te?”
“ma siamo soci, non è così, Bag?”
“certo, Dan.”
“quanto tempo è che siamo in affari insieme?”
“25 anni.”
“se è così, d’accordo, ma quando dico un quarto di giro, intendo proprio un quarto di giro.”
“cosa devo fare?”
“infila le mani tra i rulli, è come una lavatrice.”
“lì dentro?”
“già. via che si va. iippie!”
“ehi, amico, non dimenticare, solo un quarto di giro.”
“certo, Bag, ma non ti fidi di me?”
“adesso per forza.”
“sai, mi sono scopato tua moglie di nascosto.”
“sporco figlio di puttana! ma io ti faccio fuori!”

Danforth continuò a far andar la macchina, si mise a sedere dietro la scrivania di Bagley, s’accese una sigaretta, fischiettò un motivetto, “che fortuna, che fortuna, io mi compro anche la luna, perché ci ‘ o le tasche piene di sogni… son rimasto senza grano, ma ci ‘ o tutto il mondo in mano, perché ci ‘ o le tasche piene di sogni.”
si alzò e si avvicinò alla macchina e a Bagley.
“avevi detto un quarto di giro,” gli disse Bagley. “siamo già arrivati ad un giro e mezzo.”
“non ti fidi di me?”
“ora più che mai, in un modo o nell’altro.”
“eppure mi sono scopato tua moglie di nascosto.”
“beh, dopo tutto mi sta anche bene, mi sono stufato di scoparla, ogni uomo si stufa di scopar la moglie.”
“ma voglio che sia tu a dirmi di scopar tua moglie.”
“beh, non che m’importi granché, ma non so dirti esattamente se lo desidero o no.”
“tornerò tra 5 minuti circa.”

Danforth girò sui tacchi, si mise a sedere sulla poltrona girevole di Bagley, appoggiò i piedi sulla scrivania e attese, gli piaceva cantare, cantava canzonette come: ” sono pieno di niente e per me niente è pieno, ci’ò le stelle, ci’ò il sole, ci’ò anche l’ar­ cobaleno…”
Danforth fumò un paio di sigarette e poi tornò alla macchina.
“Bag, mi sono scopato tua moglie di nascosto.”
“ma mi sta bene! mi sta benissimo, amico! e sai una cosa?”
“cosa?”
“ci’ò una mezza idea che mi piacerebbe starvi a guardare.”
“mi sembra proprio una buona idea.”

Danforth s’avvicinò al telefono, formò un nu mero.
“Minnie? si, sono Dan. sto venendo a casa tua. ho voglia di fare un giro con te. Bag? viene anche lui. ha voglia di starci a guardare, no, non siamo mica ubriachi, ho appena deciso di chiuder bottega per oggi, non abbiamo più bisogno di sgobbare, con quella storiella tra arabi e israeliani e tutte le guerre africane non c’è niente di cui stare a preoccuparsi, la parola Biafra è bellissima, sia come sia, tra poco siamo da te. voglio mettertelo in culo hai delle chiappe così grosse, gesù! potrei anche cacciarlo in culo a Bag. secondo me le sue chiappe sono anche più grosse delle tue. fatti bella, amore, siamo subito da te.”

Dan riattaccò, squillò un altro telefono, “vai in culo brutta figlia di puttana, hai le punte dei capezzoli che puzzano perfino più degli stronzi di cane umidi al vento di ponente.” riappese e sorrise, si avvicinò a Bagley e lo fece uscire dalla macchina, chiusero l’ufficio a chiave e scesero insieme le scale, quando furono sul marciapiede il sole era alto e prometteva bene, si riusciva a vedere sotto le gonne di cotone leggero, si riusciva quasi a vedergli le ossa. Los Angeles, tra la Settima strada e Broadway, l’incrocio dove i cadaveri si abbracciavano ai cadaveri senza neanche sapere perché, era un giochetto che sapeva di imparaticcio come saltare la corda o vivisezionare rane o pisciare nella cassetta delle lettere o far seghe a un cucciolo di cane.

“siamo pieni di niente,”cantavano, “e per noi niente è pieno…”
scesero a braccetto nel garage sotterraneo, trovarono la Caddy ’69 di Bag, entrambi s’accesero un sigaro da un dollaro, Dan si piazzò al volante, abbandonarono quel luogo, per un pelo non stirarono un barbone mentre uscivano da Pershing Square, svoltarono puntando verso l’autostrada in direzione ovest, verso la libertà, il Vietnam, l’esercito, le scopate, i prati enormi d’erba e di statue nude, il vino francese, Beverly Hills…

Bagley si chinò e tirò giù la cerniera lampo di Danforth senza smettere di guidare.
spero che me ne lasci un po’ per sua moglie, pensò Danforth.
era una calda mattina di Los Angeles, ma forse era di pomeriggio, diede un’occhiata all’orologio del cruscotto – erano le 11 e 37 del mattino – proprio mentre veniva, spinse la Caddy a 80 miglia, l’asfalto scivolava sotto le gomme come le tombe dei morti, accese il televisore del cruscotto, allungò una mano verso il telefono, poi si ricordò di tirar su la lampo,
“ti amo, Minnie.”
“ti amo anch’io, Dan,” rispose lei. “quel coglione è li con te?”
“proprio accanto a me. ha già la bocca piena.”
“oh, Dan, non sprecarla!”

lui scoppiò a ridere e riattaccò, per un pelo non andarono a sbattere contro un negro su un furgoncino, non era mica nero, proprio per niente, era uno sporco negro, ecco qui. c’era una sola città al mondo più bella di quella quando le cose ti andavano bene, ma non ce n’era nessuna peggiore di quella se invece ti andavano male. era un 30 e lode, Danforth spinse la macchina a 85 miglia, un poliziotto in moto gli sorrise mentre lo superava, forse più tardi avrebbe telefonato a Bob. Bob era un tipo molto buffo, i suoi 12 scrittori gli passavano sempre delle battute fantastiche. e poi Bob era un semplice, come la merda di cavallo, magnifico.
buttò fuori il sigaro da un dollaro, se ne accese un altro, spinse la Caddy a 90, diritta verso il sole, come una freccia, gli affari prosperavano e la vita pure, e le gomme giravano sopra i morti, i moribondi e i morti a venire. uaummmmmm!

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