I baci delle giraffe

giraffaSotto l’effetto della morfina, Billy sognò delle giraffe in un giardino. Le giraffe percorrevano dei vialetti coperti di ghiaia e ogni tanto si fermavano per addentare delle pere zuccherate in cima agli alberi. Anche Billy era una giraffa. Mangiò una pera. Era dura. Resisteva ai suoi denti sgranocchianti, e si aprì di colpo in una protesta sugosa.

Le giraffe accettavano Billy come una di loro, come una creatura inoffensiva dotata della loro stessa assurda struttura.

Due di esse gli si avvicinarono da opposte direzioni e si appoggiarono contro di lui. Avevano un labbro superiore lungo e muscoloso al quale potevano dare la forma di una campana. Con queste labbra lo baciarono. Erano femmine, color panna e giallo limone. Avevano delle corna che sembravano i pomelli di una porta. Questi pomelli erano coperti di velluto.

Perché?

Nel giardino delle giraffe venne la notte, e Billy Pilgrim dormì senza sognare per un po’, poi riprese a viaggiare nel tempo. Si svegliò con la testa sotto le lenzuola in un reparto per malati di mente non pericolosi di un ospedale per reduci di guerra vicino a Lake Placid, nello stato di New York. Era la primavera del 1948, tre anni dopo la fine della guerra.
Billy si tolse il lenzuolo dalla testa. Le finestre della corsia erano aperte. Fuori cinguettavano gli uccelli.

“Puu-tii-uiit?” gli domandò uno. Il sole era alto. C’erano altri ventinove pazienti, nella corsia, ma in quel momento erano tutti fuori a godersi la bella giornata. Erano liberi di andare e venire come volevano, di tornare a casa, anche, se gli garbava; e così pure Billy Pilgrim. Erano venuti di propria spontanea volontà, spaventati dal mondo esterno.
Billy aveva chiesto di essere ricoverato a metà del suo ultimo anno alla Scuola di optometria di Ilium. Nessun altro sospettava che stesse diventando pazzo. Tutti trovavano che aveva una buona cera e che si comportava normalmente. Ora era all’ospedale. I medici erano d’accordo: stava diventando pazzo.

Non pensavano che questo avesse qualcosa a che fare con la guerra. Erano certi che Billy stava perdendo la ragione perché suo padre, quando era piccolo, lo aveva gettato nella parte della piscina del Y.M.C.A. dove non si toc cava, e poi lo aveva portato sull’orlo del Grand Canyon.
L’uomo nel letto vicino a quello di Billy era un ex capitano di fanteria che si chiamava Eliot Rosewater. Rosewater era ammalato e stanco di essere sempre ubriaco.

Fu Rosewater che fece conoscere a Billy la fantascienza, e in particolare i libri di Kilgore Trout. Rosewater aveva sotto il letto una fantastica raccolta di paperback di fantascienza. Se li era portati all’ospedale in un baule. Quei libri tanto amati e cincischiati mandavano un odore che permeava la corsia, un odore molto simile a quello di un pigiama di flanella che non fosse stato cambiato per un mese, o di una pentola di stufato irlandese.
Kilgore Trout diventò l’autore vivente preferito di Billy, e la fantascienza diventò l’unico genere di storie che potesse leggere. Rosewater era due volte più sveglio di Billy, ma lui e Billy avevano crisi simili che affrontavano nello stesso modo. Entrambi avevano trovato la vita insensata, in parte a causa di ciò che avevano visto in guerra. Rosewater, per esempio, aveva ucciso un pompiere di quattordici anni, scambiandolo per un soldato tedesco. Così va la vita. E Billy aveva assistito al più grande massacro della storia europea, il bombardamento di Dresda. Così va la vita. Ora stavano cercando, tutt’e due, di ritrovare se stessi e il proprio universo. In questo la fantascienza era un grosso aiuto.

Un giorno Rosewater disse a Billy una cosa interessante su un libro che non era di fantascienza. Disse che tutto quello che c’era da sapere sulla vita si poteva trovare nei Fratelli Karamazov di Fèdor Dostoevskij. “Ma non basta più” disse Rosewater.

Un’altra volta Billy sentì Rosewater dire a uno psichiatra: “Mi sa che voialtri dovrete tirar fuori un mucchio di nuove magnifiche bugie, se vorrete che alla gente non passi la voglia di vivere”.

C’era una natura morta sul comodino di Billy: due pillole, un portacenere con tre mozziconi macchiati di rossetto, una sigaretta ancora accesa e un bicchiere d’acqua. L’acqua era morta. Così va la vita. L’aria stava cercando di uscire da quell’acqua morta. Delle bollicine si attaccavano alle pareti del bicchiere, troppo deboli per saltarne fuori.
Le sigarette erano della madre di Billy, che era una fumatrice accanita. Era andata a cercare la toilette delle donne, che si trovava vicino al reparto delle WACS, delle WAVES, delle SPARS e delle WAFS che non avevano tutti i venerdì. Doveva tornare da un momento all’altro.
Billy si coprì nuovamente la testa col lenzuolo. Si copriva sempre la testa quando sua madre veniva a trovarlo all’ospedale: stava sempre molto peggio finché lei non se ne andava. Non che fosse antipatica o che avesse l’alito cattivo o un brutto carattere. Era una donna perfettamente a posto, una bianca di livello medio con i capelli castani e un’educazione liceale alle spalle. Ciò che metteva Billy a disagio era il semplice fatto che era sua madre. Davanti a lei si sentiva imbarazzato, debole e ingrato, perché lei aveva tanto faticato per dargli la vita e per facilitargliela, e a Billy quella vita non piaceva affatto.
Billy sentì Eliot Rosewater entrare e sdraiarsi sul letto. Le molle lo provarono col loro cigolio. Rosewater era grosso, ma non molto forte. Sembrava fatto di plastilina.
Poi la madre di Billy tornò dalla toilette e si mise su una sedia tra il letto di Billy e quello di Rosewater. Rosewater l’accolse con melodiosa cordialità, e le chiese come stava. Parve felicissimo di sapere che stava bene. Stava facendo un esperimento: voleva cercare di stabilire il rapporto più cordiale possibile con tutte le persone che incontrava. Pensava che così il mondo sarebbe diventato un posto un po’ più piacevole. Si rivolse alla madre di Billy con un “cara”. Stava provando a chiamare tutti “caro”.
“Un giorno,” promise lei a Rosewater, “io verrò qui, e Billy si toglierà il lenzuolo dalla testale sa cosa dirà?”
“Cosa dirà, cara?”
“Dirà: ‘Ciao, mamma’, e sorriderà. Dirà: ‘Accidenti, mamma, sono proprio contento di vederti. Come stai?’.”
“Quel giorno potrebbe essere oggi.”
“Ogni notte io prego che lo sia.”
“È molto bello, questo.”
“La gente rimarrebbe sorpresa se sapesse quante cose a questo mondo sono dovute alle preghiere.”
“Non ha mai detto una cosa più vera, cara.”
“Sua madre viene a trovarla spesso?”
“Mia madre è morta” disse Rosewater. Così va la vita.
“Mi spiace.”
“Almeno ha avuto una vita felice, finché è durata. ”
“Questa è una consolazione.”
“Sì.”
“Anche il padre di Billy è morto, sa?” disse la madre di Billy. Così va la vita.
“Un ragazzo ha bisogno di un padre. ” E il duetto tra quella madre ottusa e supplichevole, e quell’uomo grosso e fiacco, così pieno di parole buone, andò avanti in questo modo per un pezzo.

“Era il primo della classe quando è successo questo” disse la madre di Billy.
“Forse studiava troppo” disse Rosewater. Aveva un libro che voleva leggere, ma era troppo educato per leggere e parlare; e non faceva nessuna fatica a dare alla madre di Billy risposte soddisfacenti. Il libro era Pazzi nella quarta dimensione di Kilgore Trout. Parlava di persone le cui malattie mentali non potevano essere curate perché le cause delle malattie erano tutte nella quarta dimensione, e i medici tridimensionali della Terra non potevano assolutamente scoprire quelle cause, e neppure immaginarle.
Trout diceva una cosa che a Rosewater piacque molto, e cioè che vampiri, licantropi, folletti, angeli e così via esistevano veramente, ma si trovavano nella quarta dimensione. Nella quarta dimensione si trovava, stando a Trout, anche William Blake, il poeta preferito di Rosewater. E il paradiso e l’inferno.

“È fidanzato con una ragazza ricchissima” disse la madre di Billy.
“Ottima cosa” disse Rosewater. “I soldi a volte possono essere un grande aiuto.”
“Proprio così.”
“Certamente.”
“Non è molto divertente dover risparmiare su tutto.”
“È bello avere un po’ di spazio per respirare.”
“Suo padre è il proprietario della Scuola di optometria dove andava Billy. Ha anche sei uffici nella nostra parte dello stato. Ha un aereo personale e una casa per le vacanze sul lago George.”
“È un bel lago.” Billy si addormentò sotto il lenzuolo. Quando si svegliò, era legato al letto nell’ospedale del campo di prigionia. Aprì un occhio e vide il povero Edgar Derby che stava leggendo II segno rosso del coraggio a lume di candela.

Billy chiuse l’occhio e vide nella propria memoria del futuro il povero Edgar Derby davanti al plotone d’esecuzione tra le rovine di Dresda. C’erano solo quattro uomini in quella squadra. Billy aveva sentito dire che in ogni plotone d’esecuzione c’era un soldato col fucile caricato a salve. Ma non credeva che a un plotone così piccolo, in una guerra così lunga, avrebbero dato una cartuccia a salve.

Il comandante degli inglesi venne all’ospedale a visitare Billy. Era un colonnello di fanteria fatto prigioniero a Dunkerque. Era stato lui che aveva dato la morfina a Billy. Nel campo non c’era un vero dottore, e così era lui a occuparsi dei malati.
“Come sta il paziente?” domandò a Derby.
“Morto per il mondo.”
“Ma non morto davvero.”
“No.”
“Che bellezza non sentire nulla, ed essere considerato ancora vivo.”
Derby, a questo punto, si mise cupamente sull’attenti.
“No, no… prego… riposo. Con due uomini per ogni ufficiale, e tutti malati, credo che possiamo fare a meno delle solite formalità tra ufficiali e soldati. ”
Derby restò in piedi. “Lei sembra più vecchio degli altri” disse il colonnello.
Derby gli disse che aveva quarantacinque anni: due anni più del colonnello. Il colonnello disse che tutti gli altri americani si erano rasati, e che Billy e Derby erano gli unici due ancora con la barba. “Sa,” disse, “noi, qui, la guerra abbiamo dovuto immaginarcela, e ci siamo immaginati che a farla fossero degli anziani come noi. Avevamo dimenticato che a fare la guerra sono i ragazzini. Quando ho visto quelle facce appena rasate, è stato uno choc. ‘Dio mio, Dio mio,’ mi sono detto, ‘questa è la Crociata dei Bambini’.”
Il colonnello chiese al vecchio Derby com’era stato fatto prigioniero, e Derby gli raccontò che era finito in mezzo a un bosco insieme a un centinaio di altri soldati spaventati. La battaglia durava da cinque giorni. I cento uomini erano stati spinti verso gli alberi dai carri armati.
Derby descrisse l’incredibile maltempo artificiale che i terrestri creano a volte intorno ad altri terrestri quando non vogliono che quei terrestri abitino più la Terra. Proiettili esplodevano sopra gli alberi con un frastuono terribile, disse, lasciando cadere una pioggia di coltelli, aghi e lame di rasoio. Pezzi di piombo rivestiti di rame si incrociavano tra gli alberi sotto gli scoppi delle bombe, viaggiando assai più veloci del suono.
Un sacco di gente era stata ferita o uccisa. Così va la vita. Poi il cannoneggiamento cessò e un tedesco nascosto, con un altoparlante, ordinò agli americani di deporre le armi e uscire dal bosco con le mani sopra la testa; altrimenti avrebbero ripreso a bombardarli e non avrebbero smesso finché non fossero morti tutti. Perciò gli americani deposero le armi, e uscirono dal bosco con le mani sopra la testa, perché volevano seguitare a vivere, se possibile.

Billy viaggiò ancora nel tempo fino all’ospedale per reduci di guerra. Aveva ancora il lenzuolo sopra la testa. Fuori dal lenzuolo tutto era silenzio. “Mia madre se ne è andata?” fece Billy.
“Sì.”
Billy sbirciò fuori dal lenzuolo. Adesso là fuori c’era la sua fidanzata, seduta sulla sedia dei visitatori. Si chiamava Valencia Merble. Valencia era la figlia del proprietario della Scuola di optometria di Ilium. Era ricca. Era grossa come una casa perché non riusciva a smettere di mangiare. Stava mangiando anche adesso. Stava sgranocchiando un sigaro di zucchero Tre moschettieri. Sul naso aveva lenti trifocali in una montatura arlecchino, e la montatura era adorna di strass. Al luccichio degli strass faceva riscontro il luccichio del diamante sull’anello di fidanzamento. Il diamante era assicurato per milleottocento dollari. Billy lo aveva trovato in Germania. Era bottino di guerra. Billy non voleva sposare la brutta Valencia. Uno dei sintomi della sua malattia era lei. Si era accorto che stava impazzendo quando si era sorpreso a chiederle di sposarlo, quando l’aveva pregata di accettare l’anello col diamante e di essere la sua compagna per la vita.

“Ciao,” le disse Billy, e lei gli chiese se voleva una caramella, e lui disse: “No, grazie”.
Lei gli chiese come stava e lui rispose: “Molto meglio, grazie”. Lei gli disse che alla Scuola di optometria erano tutti spiacenti che fosse malato e speravano che si rimettesse presto, e Billy disse: “Quando li vedi, salutameli”.
Lei promise che l’avrebbe fatto.

Lei gli chiese se c’era qualcosa che poteva portargli da fuori, e lui disse: “No. Ho più o meno tutto quello che voglio”.
“E i libri? “disse Valencia.
“Qui vicino ho una delle più grandi biblioteche private del mondo,” disse Billy, alludendo alla raccolta di fantascienza di Eliot Rosewater.
Rosewater era a letto con un libro, e Billy lo introdusse nella conversazione chiedendogli cosa stesse leggendo in quel momento.
Così Rosewater glielo disse. Era Il Vangelo dello spazio di Kilgore Trout. Parlava di una creatura venuta dallo spazio che somigliava molto a un tralfamadoriano, tra l’altro. La creatura venuta dallo spazio aveva studiato a fondo il cristianesimo per capire, se possibile, perché per i cristiani fosse tanto facile essere crudeli. Era arrivata alla conclusione che il guaio derivava almeno in parte dal modo trasandato in cui era scritto il Nuovo Testamento. Secondo lui, l’intento dei Vangeli era insegnare alla gente, fra le altre cose, a essere misericordiosi, anche verso i più umili.
Ma i Vangeli, in realtà, insegnavano questo: Prima di uccidere qualcuno, accertatevi bene che non abbia relazioni importanti. Così va la vita.

La magagna nelle storie di Cristo, diceva la creatura venuta dallo spazio, era che Cristo, malgrado le apparenze, era il figlio dell’Essere Più Potente dell’Universo. I lettori lo capivano e così, quando arrivavano alla crocifissione, naturalmente pensavano (qui Rosewater rilesse ad alta voce):
Oh, accidenti… Hanno scelto proprio la persona sbagliata per il loro linciaggio, quella volta!
E questa idea aveva una sorella: “Ci sono delle persone giuste da linciare”. Chi? Quelle che non hanno relazioni importanti. Così va la vita.

La creatura venuta dallo spazio donò alla Terra un nuovo Vangelo. In esso Gesù era veramente un uomo qualunque, e una seccatura per un sacco di gente che aveva relazioni più importanti delle sue. E diceva anche lì tutte le cose belle e imbarazzanti che diceva negli altri Vangeli. Così un giorno la gente si divertì a inchiodarlo a una croce e a piantare la croce nel terreno. Non ci sarebbero state ripercussioni, pensavano quelli che l’avevano linciato. Anche il lettore era indotto a pensarlo, poiché il nuovo Vangelo seguitava a ripetere che Gesù era proprio un nessuno.
E poi, un momento prima che questo “nessuno” morisse, i cieli si aprirono, e mandarono tuoni e lampi. Dall’alto scese stentorea la voce di Dio. Dio disse alla gente che adottava quel barbone, dandogli i pieni poteri e i privilegi di Figlio del Creatore dell’Universo per tutta l’eternità. Ecco quello che disse: D’ora in poi Egli punirà orribilmente chiunque tormenterà un barbone senza relazioni importanti!

La fidanzata di Billy aveva finito il suo sigaro di zucchero Tre moschettieri. Ora stava sgranocchiando una Via Lattea.
“Lasciate perdere i libri” disse Rosewater, gettando sotto il letto quello che teneva in mano. “Vadano al diavolo.”
“Questo, però, sembrava interessante” disse Valencia.
“Cristo… Se solo Kilgore Trout sapesse scrivere!” esclamò Rosewater. Aveva ragione: l’impopolarità di Kilgore Trout era meritata. La sua prosa era tremenda. Soltanto le idee erano buone.

“Non credo che Trout sia mai stato all’estero” seguitò Rosewater. “Mio Dio… Parla sempre di terrestri, e sono tutti americani. Praticamente nessuno sulla Terra è americano. ”
“Dove vive?” domandò Valencia.
“Nessuno lo sa” rispose Rosewater. “Io sono l’unica persona che abbia sentito parlare di lui, per quello che ne so. Non ci sono due libri che abbiano lo stesso editore, e ogni volta che gli scrivo all’indirizzo di un editore, la lettera mi torna indietro perché l’editore è fallito.”
A questo punto cambiò argomento e si congratulò con Valencia per il suo anello di fidanzamento.
“Grazie” disse lei, e tese la mano perché Rosewater potesse vederlo meglio.
“Billy ha preso questo diamante durante la guerra.”
“Ecco il lato buono della guerra” disse Rosewater. “Tutti, proprio tutti, ci ricavano qualcosa.”
Quanto a Kilgore Trout: in realtà abitava a Ilium, la città natale di Billy, disprezzato e senza amici.
Di tanto in tanto Billy lo incontrava.

“Billy…” disse Valencia Merble.
“Eh?” “Hai voglia di parlare dell’argenteria?”
“Certo.”
“Penso che dovremmo scegliere tra Royal Danish e Rambler Rose.”
“Rambler Rose” disse Billy.
“Non è una cosa da decidere su due piedi” disse lei. “Cioè… Qualunque decisione si prenda, è una cosa che ci porteremo dietro per tutta la vita.”
Billy studiò le fotografìe. “Royal Danish” disse infine.
“Anche la Colonial Moonlight non è male.”
“Sì” disse Billy Pilgrim.

E Billy viaggiò nel tempo fino allo zoo di Tralfamadore. Aveva quarantaquattro anni ed era in mostra sotto la cupola geodetica. Era ancora disteso sulla poltrona che era stata la sua culla durante il viaggio nello spazio. Era nudo. I tralfamadoriani erano interessati al suo corpo: tutto. Lì fuori ce n’erano migliaia, che alzavano le manine in modo tale che i loro occhi potessero vederlo. Billy era su Tralfamadore da sei mesi terrestri. Era abituato alla folla.
Evadere era fuori questione. Fuori della cupola l’atmosfera era satura di cianuro e la Terra si trovava a 713.700.000.000.000.000 chilometri di distanza.

Nello zoo Billy era al centro di un habitat terrestre artificiale. La maggior parte dell’arredamento era stata rubata nel deposito della Sears Roebuck di Iowa City, nello Iowa. C’erano un televisore a colori e un divano letto. C’erano, vicino al divano, dei tavolini con qualche lampada e alcuni portacenere. C’era un bar con due sgabelli. C’era un piccolo tavolo da gioco. C’era una moquette color oro che copriva tutto il pavimento, tranne in cucina, nel bagno e sopra il tombino di ferro al centro della stanza. C’erano delle riviste disposte a ventaglio sopra il tavolino davanti al divano.
C’era un fonografo stereofonico. Il fonografo funzionava, la televisione no. Incollata allo schermo del televisore c’era la fotografìa di un cowboy che ne ammazzava un altro. Così va la vita.
Dentro la cupola non c’erano pareti, non c’era un posto dove Billy potesse nascondersi. Gli impianti igienici verde menta del bagno erano all’aperto. Billy si alzò dalla poltrona, andò in bagno e fece pipì. La folla impazziva.

Billy si lavò i denti su Tralfamadore, si mise la mezza dentiera e andò in cucina. La cucina a gas, il frigorifero e la lavastoviglie erano anch’essi verde menta. Sulla porta del frigorifero era incollata una fotografia. Il frigorifero era arrivato così. Era la foto di una coppia fine Ottocento su un tandem.
Billy guardò la fotografia e cercò di pensare qualcosa sulla coppia. Non gli venne in mente nulla. Sembrava che non ci fosse nulla da pensare di quelle due persone.

Billy fece una buona colazione a base di scatolette. Lavò la tazza, il piatto, il coltello, la forchetta, il cucchiaio e il pentolino e li mise via. Poi fece gli esercizi di ginnastica che aveva imparato nell’esercito: salti, flessioni, piegamenti. La maggior parte dei tralfamadoriani non potevano sapere che il corpo e il viso di Billy non erano belli. Lo credevano uno splendido esemplare. Questo fu piacevole per Billy, che per la prima volta cominciò ad apprezzare il proprio corpo.
Dopo la ginnastica fece una doccia e si tagliò le unghie dei piedi. Si fece la barba e si spruzzò del deodorante sotto le ascelle, mentre una guida dello zoo, da una pedana soprelevata esterna, spiegava cosa Billy stava facendo e perché. La guida faceva il suo discorso telepaticamente, stando là in piedi e basta, inviando alla folla onde mentali. Accanto a lei, sulla pedana aveva un piccolo strumento a tastiera con cui poteva trasmettere a Billy le domande della gente.
Arrivò la prima domanda, dall’altoparlante sopra il televisore: “Lèi è felice, qui?”.
“Come quando ero sulla Terra, più o meno” disse Billy Pilgrim, il che era vero.

Su Tralfamadore c’erano cinque sessi, ciascuno dei quali compiva una delle funzioni necessarie per mettere al mondo un nuovo individuo. A Billy sembravano identici, perché le loro differenze sessuali erano tutte nella quarta dimensione.
Uno dei colpi più grossi inferti al morale di Billy dai tralfamadoriani riguardava, tra parentesi, proprio il sesso sulla Terra. Dicevano che gli equipaggi dei loro dischi volanti avevano individuato sulla Terra non meno di sette sessi, ciascuno dei quali indispensabile per la riproduzione. Billy non riusciva a immaginare come cinque di quei sette sessi potessero avere qualcosa a che fare con la nascita dei bambini, perché erano sessualmente attivi solo nella quarta dimensione.
I tralfamadoriani cercarono di dargli delle indicazioni che lo aiutassero a capire com’era il sesso nella dimensione invisibile. Gli dissero che sulla Terra non potevano nascere bambini senza maschi omosessuali. Che non potevano nascere bambini senza donne omosessuali. Che non potevano nascere bambini senza donne sopra i sessantacinque anni. Che non potevano nascere bambini senza uomini oltre i sessantacinque anni. Che non potevano nascere bambini senza altri bambini che fossero vissuti per un’ora, o anche meno, dopo la nascita. E così via.
Per Billy tutto questo era incomprensibile.

Anche in quello che diceva Billy c’era molto di incomprensibile per i tralfamadoriani. Essi non riuscivano a capire la sua visione del tempo. Billy aveva rinunciato a spiegarla. Dovette spiegarla la guida, là fuori, meglio che poteva.
La guida invitò i presenti a immaginare di essere davanti a un deserto e di guardare, oltre il deserto, verso una catena di montagne in una giornata chiara e splendente. Potevano osservare un picco o un uccello o una nuvola, potevano vedere un sasso proprio davanti a loro, o affondare lo sguardo in un canyon dietro di loro. Ma tra loro c’era un povero terrestre con la testa chiusa dentro una sfera d’acciaio che non si poteva togliere. In questa sfera c’era solo uno spiraglio da cui il terrestre poteva guardare fuori, e a quello spiraglio era saldato un tubo di due metri.
Questo, nella metafora, era solo il primo dei problemi di Billy, che era anche legato a una grata di ferro fissata a un pianale su un binario, e non poteva né girare la testa né toccare il tubo. L’estremità del tubo era appoggiata a un sostegno a due gambe imbullonato esso pure al pianale. Tutto ciò che Billy poteva vedere era il puntolino in fondo al tubo. Non sapeva di essere su un pianale, non sapeva neppure che ci fosse qualcosa di strano nella sua situazione. A volte il pianale procedeva lentamente, a volte andava molto veloce, spesso si fermava: saliva, scendeva, faceva delle curve, seguiva rettilinei. Qualunque cosa il povero Billy vedesse attraverso il tubo, non poteva far altro che dirsi: “È la vita”.

Billy si aspettava che i tralfamadoriani fossero confusi e allarmati da tutte le guerre e da tutti gli assassinii che c’erano sulla Terra. Pensava che avessero paura che la ferocia dei terrestri, unita alle loro armi potentissime, potesse finire per distruggere, in parte o anche totalmente, l’innocente universo. Era la fantascienza che gli aveva fatto venire questa idea.
Invece, l’argomento della guerra non fu mai sollevato da nessuno finché a tirarlo fuori non fu lo stesso Billy. Qualcuno tra la folla dello zoo gli domandò attraverso la guida quale fosse la cosa più importante che aveva imparato su Tralfamadore fino a quel momento, e Billy rispose:
“Ho imparato come gli abitanti di un intero pianeta possano vivere in pace! Come sapete, io vengo da un pianeta che da tempo immemorabile non fa che compiere massacri insensati. Io stesso ho visto i corpi di ragazzine bollite vive dentro un serbatoio dai miei compatrioti, tutti fieri di battersi in quel modo contro il male”. Questo era vero. A Dresda Billy aveva visto dei corpi bruciati. “E di notte, in prigione, mi sono fatto luce con candele fabbricate col grasso di esseri umani uccisi dai fratelli e dai padri di quelle ragazzine. I terrestri devono essere il terrore dell’universo! Se per ora altri pianeti non sono minacciati dalla Terra, presto lo saranno. Ditemi dunque il segreto, così lo porterò sulla Terra e saremo tutti salvi: come può un pianeta vivere in pace?”.
Billy credeva di avere fatto un discorso molto nobile. E rimase sconcertato quando vide che i tralfamadoriani si chiudevano le manine sugli occhi. Sapeva per esperienza che cosa significava: aveva detto una stupidaggine.

“Le… le spiacerebbe dirmi…” disse alla guida, molto sgonfiato, “cosa c’era di tanto stupido in quello che ho detto?”
“Noi sappiamo come finisce l’universo…” disse la guida “e la Terra non c’entra niente, salvo che sarà spazzata via anche lei.”
“Come… come finisce l’universo?” disse Billy.
“Lo facciamo saltare in aria noi, sperimentando nuovi combustibili per i nostri dischi volanti. Un pilota collaudatore tralfamadoriano preme uno starter, l’intero universo sparisce.” Così va la vita.

“Se sapete tutto questo,” disse Billy, “non c’è qualche sistema per prevenirlo? Non potete impedire al pilota di premere il bottone?”
“L’ha sempre premuto e lo premerà sempre. Noi lo lasciamo e lo lasceremo sempre fare. Il momento è strutturato così.”

“Allora…” disse Billy andando a tastoni, “immagino che sia stupida anche l’idea di impedire le guerre sulla Terra. ”
“Naturalmente. ”
“Ma oggi voi vivete in pace, su questo pianeta.”
“Oggi sì. In altri momenti abbiamo guerre terribili, le più terribili che abbiate mai visto. Non possiamo farci niente, perciò ci limitiamo a non guardarle. Le ignoriamo. Passiamo l’eternità contemplando i momenti piacevoli… come oggi allo zoo. Non è bello, questo momento?”
“Sì.”
“C’è una cosa che i terrestri potrebbero imparare a fare, se davvero si sforzassero: ignorare i brutti momenti e concentrarsi su quelli buoni.”
“Uhm” disse Billy Pilgrim.
Quella sera, poco dopo essersi addormentato, Billy viaggiò nel tempo fino a un altro momento davvero bello, la prima notte di matrimonio con la fu Valencia Merble. Era uscito dall’ospedale per reduci di guerra da sei mesi. Ora stava proprio bene. Si era diplomato alla Scuola di optometria di Ilium, terzo su quarantasette.

Era a letto con Valencia in un delizioso appartamentino in fondo a un molo di Cape Ann, nel Massachusetts. Al di là della distesa d’acqua si vedevano le luci di Gloucester. Billy era sopra Valencia e faceva l’amore con lei. Uno dei risultati di questo atto sarebbe stata la nascita di Robert Pilgrim, che al liceo non avrebbe combinato granché, ma che in seguito si sarebbe raddrizzato diventando uno dei famosi Berretti Verdi. Valencia non viaggiava nel tempo, ma aveva molta fantasia. Mentre Billy faceva l’amore con lei, immaginava di essere una delle donne famose della storia. Era la regina Elisabetta I d’Inghilterra, mentre Billy, stando alle apparenze, doveva essere Cristoforo Colombo.

Billy mandò un rumore come quello di un piccolo cardine arrugginito. Aveva appena vuotato le sue vescicole seminali dentro Valencia, aveva dato il proprio contributo alla creazione di un Berretto Verde. Anche se, stando ai tralfamadoriani, i Berretti Verdi avevano sette genitori. Rotolò giù dalla mole massiccia di sua moglie, la cui espressione estatica, quando si staccò, non mutò. Restò disteso con la spina dorsale parallela al bordo del materasso e si mise le mani dietro la testa. Adesso era ricco. Era stato premiato per avere sposato una ragazza che nessun uomo sano di mente avrebbe mai sposato. Suo suocero gli aveva regalato una Buick Roadmaster e una casa piena di elettrodomestici e lo aveva nominato direttore del suo ufficio più redditizio, quello di Ilium, dove Billy poteva aspettarsi di guadagnare almeno trentamila dollari l’anno. Mica male. Suo padre era un semplice barbiere. Come diceva sua madre: “I Pilgrim stanno facendosi strada nella vita”.

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