The WOM

figureSi definisce come macchina qualsiasi scatola nera che riceva in input una grandezza x e restituisca in output una grandezza y, dove x diverso da y.

1.1. Una scatola nera che riceva x in input e restituisca x in output non è macchina ma canale neutro.

1.2. È irrilevante se una macchina sia un automa perfetto (moventesi senza operatori esterni e per moto perpetuo) o se sia mossa dall’esterno (in tal senso sono macchine gli organismi animali, i telai manuali e meccanici, gli orologi, eccetera).

1.3. È pertanto irrilevante se una macchina sia sensibile al secondo principio della termodinamica o al suo opposto (non è proibito pensare una scatola nera che riceva un input molto basso e restituisca un output molto alto che per feedback va a generare inputs sempre più alti, e così ad infinitum).

1.4. E’ irrilevante da dove venga l’input e dove vada a finire l’output (tranne nel caso di spiegazione 1.3, peraltro, come già detto, irrilevante ai presenti fini). Pertanto una macchina è rappresentabile sempre come:

i —— m —–> o

2. Si pone ora il problema se siano pensabili e/o producibili Wims e Woms, e cioè Without input machines e Without output machines

3. Una Wim è in linea di principio pensabile, almeno nel senso che è stata pensata. In termini mitologici essa sarebbe Dio:

m—–>

Si pensi al modello del Dio plotiniano. La nozione di Uno inaccessibile e indefinibile elimina, almeno in termini teoretici, il problema dell’input. Tale macchina è una scatola nera per eccellenza, definibile solo in termini negativi, di cui si conoscono solo gli outputs.

Parimenti il Dio della teologia cattolica, eterno e consistente nel proprio ipsum esse, non ha input e in teoria può produrre continuamente outputs, oltre la fine dei tempi (i tempi essendo un by-product dell’attività divina, la quale oltre la fine dei tempi continua a produrre visione beatifica e, in assenza di questa, pensiero).

In quanto la scatola nera pensa se stessa pensante (anche se non percepibile da alcuno) questa produzione di nous costituisce pur sempre un output, rappresentando una qualche forma di attività. D’altra parte la stessa attività del pensare se stesso produce continuamente la processione trinitaria. Pertanto la processione trinitària sarebbe l’output continuo di una macchina che reintroduce in se stessa il proprio prodotto.

È vero che il Dio uno e trino produrrebbe un output interno a se stesso, ma in qualche modo esso coinvolgerebbe anche il proprio esterno, in quanto l’output rappresenterebbe l’attività per cui la scatola nera si definisce in confronto al non essere, ovvero al Nulla ove, anche nell’ipotesi dell’abolizione dell’inferno, vi sarebbe pur sempre pianto e strider di denti. L’output di tale macchina sarebbe quindi l’attività del proprio autosostentamento e in tal senso la macchina sarebbe attiva.

D’altra parte se non ci fosse almeno questa forma di output la macchina divina non sarebbe macchina (in forza di def. 1) e il problema di tale nonmacchina esulerebbe dalla presente discussione sulle macchine. Si sostiene che una Wim, anche se non producibile, è in ogni caso pensabile, teste sant’Anselmo: noi possiamo pensare un esse cujus nihil maìus cogitarì possit. Che la possibilità di pensare tale essere sia al tempo stesso la prova della sua esistenza è problema irrilevante ai presenti fini.

4. Si sostiene ora che è impossibile pensare una Wom, vale a dire un esse cujus nihil minus cogitari possit. Il progetto di una Wom è ovviamente il progetto di una scatola nera che per quanto input riceva non restituisca alcun output. In termini meccanici occorrerebbe pensare una scatola nera tetragona di cui si percepisca l’input ma che in uscita non solo non restituisca prodotto in senso “cosale” ma neppure sensazioni termiche o tattili; invero essa non dovrebbe neppure restituire possibilità di percezione, pertanto essa dovrebbe essere impercepibile: una Wom percepibile da qualsiasi altro essere restituirebbe in uscita un campo stimolante costituente la possibilità di percepire il proprio contorno, e quindi avrebbe una qualche forma di attività. Una Wom perfetta dovrebbe ridurre a tal punto la propria possibilità di output da distruggere anche se stessa. In tal caso tuttavia, scomparendo la scatola nera che definisce l’input come input di quella scatola, la Wom non sarebbe più macchina, in forza della def. 1. In tal senso il concetto di Wom è autocontraddittorio.
E’ evidente pertanto che non possono essere definiti Woms i buchi neri, anzitutto perché sono percepibili (sia pure non coi sensi e inferendo da dati sperimentali assai esili), in secondo luogo perché danno in output la capacità di attrarre sempre nuova materia come proprio input, in terzo luogo perché si suppone oggi che essi evaporino, e l’evaporazione è, sino a che evaporano, una attività (output) della macchina, e dopo l’evaporazione completa non c’è più macchina.

5. Se ne trae provvisoriamente la conclusione che, la Wom essendo impensabile, di essa non solo non si possa dimostrare l’esistenza (neppure in base all’argomento neg-ontologico) ma neppure la inesistenza. Tuttavia non se ne può neppure, allo stato attuale dello sviluppo del pensiero, dimostrare l’impensabilità, dato che circa l’impensabilità della Wom valgono tutti gli argomenti circa la impensabilità o pensabilità della negazione o del non essere. Della Wom non si può non pensare che essa sia non pensabile ma in virtù delle regole di cancellazione della negazione, (a) si può pensare che essa sia non pensabile, (b) non si può pensare che sia non pensabile e (c) si può non pensare che sia non pensabile. Ma non si può dire che si può pensare che sia pensabile.

6. Questo fatto indurrebbe a pensare che tutto lo sviluppo della metafisica occidentale sia fondato su un atto di prigrizia, in quanto essa si pone di continuo il problema dell’origine (e cioè di una Wim) problema già risolto in partenza, ma non si pone il problema della fine (della Wom) che sarebbe l’unico degno di un qualche interesse. Tale prigrizia è forse dovuta alla struttura biologica dell’animale pensante, che in qualche modo ha avuto esperienza del proprio inizio e ha per induzione certezza che vi siano degli inizi, ma non ha mai esperienza, se non per un attimo brevissimo, della propria fine, e come l’ha avuta cessa di averla (e di poterne parlare; cfr. Martin Eden: “E come lo seppe cessò di saperlo”). In termini giuridici, ci sono testimonianze attendibili sull’inizio (“io ho cominciato…”) o su un inizio eterno (“io sono colui che è”) ma non ci sono testimonianze attendibili sulla fine (nemmeno nella storia delle religioni è mai apparso un essere che dicesse “io non sono” oppure “io sono colui che non è più”). Ammesso che vi sia stato un essere capace di avere esperienza diretta dell’assenza di ogni input, non si è ancora dato un essere capace di avere esperienza dell’assenza di ogni output (tale essere, se ci fosse, sarebbe la Wom, ma per definizione essa non potrebbe fornire la definizione di se stessa, perché la formulazione di tale definizione sarebbe il suo output, e in tale attività essa si autodistruggerebbe come Wom).

7. Il progetto di un pensiero che elegga la Wom a proprio oggetto rappresenta dunque l’esempio di una rifondazione del pensare che ora si sta inaugurando; e non potendo pensare immediatamente la Wom, non si può che partire da esempi imperfetti di womità. Tale è il fine della Cacopedia come perfezionamento ultimo della patafisica, che da scienza delle soluzioni immaginarie dovrà trasformarsi in scienza delle soluzioni non immaginabili.

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