Le torture dell’impero

Torture: foto 1

Torture: foto 1

Pubblichiamo qui diverse testimonianze di prigionieri detenuti ad Abu Ghraib, a Guantanamo e in altre basi americane in Afghanistan. Senza entrare nel merito delle eventuali responsabilità individuali, vale la pena di ricordare che si tratta di prigionieri che non sono mai stati condannati da nessuna corte. Non stanno dunque scontando alcuna pena inflitta da un organo giudiziario, militare o civile che sia. Molti di loro non conoscono neanche di che cosa sono accusati e alcuni sono stati rilasciati senza imputazione, dopo anni di detenzione.

Testimonianze dall’Iraq

Quelle che seguono sono le dichiarazioni giurate rilasciate da 13 prigionieri nel carcere di Abu Ghraib (in tutto 14 deposizioni, uno di loro ne ha fornite due) tra il 16 e il 21 gennaio del 2004. Queste testimoniane sono state rese pubbliche dal Washington Post il 21 maggio 2004 e gli originali sono ora disponibili all’indirizzo internetwww.washingtonpost.com. Come si legge in calce ad alcune delle traduzioni originali inglesi, le dichiarazioni dei prigionieri sono state raccolte dalla Squadra interrogatori/colloqui ai prigionieri, 10° battaglione di polizia militare, 3° gruppo di polizia militare del complesso carcerario di Abu Ghraib nell’ambito di un’inchiesta interna sul trattamento dei prigionieri. I nomi indicati con XXX sono stati resi illeggibili dal Washington Post.

 

Torture: foto 2

Torture: foto 2

Dichiarazione giurata rilasciata da Kasim Mehaddi Hilas, detenuto numero 151108, il 18 gennaio 2004.

In nome di Dio, io giuro su Dio che parlerò di tutto ciò di cui sono stato testimone. Non sto dicendo questo per ottenere qualcosa di materiale e non ho ricevuto pressioni per farlo da nessima forza. Innanzitutto, io parlerò solo di ciò che mi è successo nella prigione di Abu Ghraib. Non parlerò di ciò che mi è accaduto quando ero in prigione prima, perché non mi è stato chiesto, anche se è stato terribile.

1) Mi hanno strappato tutti i miei vestiti, anche le mutande. Mi hanno dato mutande da donna, di colore rosa a fiori e mi hanno messo un sacco sulla faccia. Uno di loro mi ha sussurrato nell’orecchio «oggi ti scopo», e lo ha detto in arabo. Chiunque era con me ha subito le stesse cose. Questo è ciò che i soldati americani hanno fatto, e c’era un traduttore con loro, chiamato Abu Hamid e una soldatessa, la cui pelle era color oliva e questo accadeva il 3 o 4 ottobre 2003 intorno alle 3 o le 4 del pomeriggio. Quando mi hanno portato in cella, il traduttore Abu Hamid è venuto con un soldato americano il cui grado credo fosse sergente. Mi ha detto «frocio» poiché indossavo mutande da donna, e poi mi ha chiesto «perché porti mutande da donna? » ed io ho detto loro «perché voi me le fate indossare». Il trasferimento dal Campo B all’Isolamento è stato pieno di percosse, ma dei sacchi coprivano le nostre teste così non abbiamo potuto vedere le loro facce. Mi hanno costretto ad indossare quelle mutande tutto il tempo, per 51 giorni. E la maggior parte del tempo non avevo altro da mettere.

2) Ho subito i più duri maltrattamenti da Grainer [Graner]. Egli mi ha legato le mani con del ferro dietro la schiena al metallo della finestra, al punto che i miei piedi non toccavano il pavimento e io sono rimasto appeso li per circa cinque ore soltanto perché ho chiesto che ore fossero perché volevo pregare. E poi hanno preso tutti i miei vestiti e mi hanno messo le mutande da donna sopra la testa. Dopo che mi ha liberato dalla finestra, mi ha legato al letto fino all’alba. Mi ha portato nella stanza della doccia e poi mi ha riportato nella mia cella. Mi ha proibito di mangiare per tutta la notte, nonostante io fossi digiuno da tutto il giorno. Grainer e altri due soldati scattavano foto di tutto quello che mi facevano. Non so se hanno fatto foto proprio a me perché mi hanno colpito talmente forte che ho perso conoscenza per più di un’ora.

3) Non ci hanno dato cibo per un intero giorno e un’intera notte, mentre eravamo a digiuno per il Ramadan. E il cibo era solo un pacchetto di cibo di emergenza.

 

Adesso parlo di ciò che ho visto:

1) Hanno portato tre prigionieri completamente nudi e li hanno legati con le manette e li hanno attaccati l’uno all’altro. Ho visto i soldati americani colpirli con un pallone da calcio e scattare delle foto. Ho visto Grainer dare un pugno molto forte ad un prigioniero dritto in faccia perché il prigioniero aveva rifiutato di togliersi le mutande e ho sentito che il prigioniero supplicava di aiutarlo. Poi i soldati americani hanno detto di fare come gli omosessuali (scopare). E c’era uno dei soldati americani che loro chiamavano Sergente (pelle nera). C’erano 7 o 8 soldati. C’erano anche delle soldatesse che scattavano foto e questo è successo nel primo giorno di Ramadan. E hanno ripetuto le stesse cose il secondo giorno di Ramadan. E hanno ordinato ai prigionieri di strisciare mentre li ammanettavano insieme nudi.

2) Ho visto XXX che scopava un ragazzo. Poteva avere tra i 15 e i 18 anni. Il ragazzo è rimasto seriamente ferito e loro hanno coperto tutte le porte con delle lenzuola. Poi quando ho sentito le urla mi sono arrampicato sulla porta perché sopra non era coperta e ho visto XXX, che indossava l’uniforme militare, infilare il suo uccello nel culo del ragazzino. Non ho potuto vedere la faccia del ragazzo perché non era davanti alla porta. E la soldatessa scattava le foto. XXX, penso che sia XXX per via dell’accento, e non era né magro né basso, faceva come un omosessuale (gay). Questo accadeva nella cella numero 23 per quanto mi ricordi.

3) Nella cella che è proprio sotto di quella, sul lato nord, ed io ero proprio di fronte sull’altro lato, hanno rimesso le lenzuola sulle porte. Grainer e il suo aiutante hanno ammanettato un prigioniero nella stanza numero 1. Si chiama XXX ed era un cittadino iracheno. Lo hanno legato al letto e gli hanno infilato una lampada fluorescente nel culo e lui gridava per chiedere l’aiuto di Dio. XXX è stato colpito e maltrattato molto perché io lo sentivo urlare e loro ci proibivano di stare vicino alle porte quando facevano queste cose. Era il periodo del Ramadan, intorno alla dodicesima notte quando li ho visti infilargli un bastone nel culo. La soldatessa scattava le foto.

4) Ho visto più di una volta uomini stare su un secchio d’acqua capovolto completamente nudi. E portare delle sedie sopra le loro teste stando sotto la ventola del corridoio dietro il tramezzo di legno e anche nella doccia. Non ho passato neanche una notte in tutto il tempo che sono stato lì senza vedere, sentire o provare le cose che mi sono successe. E ripeto il giuramento: giuro su Allah onnipotente sulla verità di ciò che ho detto. Allah mi è testimone.

 

Torture: foto 3

Torture: foto 3

Dichiarazione giurata rilasciata da XXX, detenuto numero XXX, il 21 gennaio 2004.

Sono la persona sopra citata. Sono entrato nella prigione di Abu Ghraib il 10 luglio 2003, dopo essere stato portato via dall’area di Baghdad. Mi hanno messo nell’area delle tende e poi mi hanno portato nell’«Hard Site». Il primo giorno mi hanno messo in una stanza buia e hanno iniziato a colpirmi alla testa, allo stomaco e alle gambe. Mi hanno fatto alzare le mani e sedere sulle ginocchia. Sono stato così quattro ore. Poi è venuto l’inquirente e mi guardava mentre mi picchiava. Sono stato in quella stanza 5 giorni, nudo senza vestiti. Poi mi hanno portato in un’altra cella al piano di sopra. Il 15 ottobre 2003 hanno rimpiazzato l’esercito con la polizia irachena e da quel momento hanno iniziato a maltrattarmi in ogni maniera. La prima punizione è stata portarmi nella stanza numero 1, mi hanno messo le manette e mi hanno ammanettato in alto per 7 o 8 ore. Ciò mi ha provocato la rottura della mano destra e avevo un taglio che sanguinava e da cui usciva pus. Mi hanno tenuto così il 24, 25 e 26 ottobre. Nei giorni successivi mi hanno messo un sacco sulla testa e, ovviamente, per tutto questo tempo io ero senza vestiti e senza niente su cui dormire. Un giorno a novembre hanno iniziato con altri tipi di maltrattamenti. Un poliziotto americano è venuto nella mia stanza e mi ha messo un sacco in testa, mi ha ammanettato e mi ha portato fuori nel corridoio. Ha iniziato a colpirmi, lui e altri cinque poliziotti americani. Potevo vedere solo i loro piedi da sotto il sacco. Un paio di questi poliziotti erano donne. Sentivo le loro voci e ho visto due della polizia che mi colpivano prima di infilarmi il sacco in testa. Uno di loro portava gli occhiali. Non ho potuto leggere il suo nome perché aveva messo un nastro sopra il suo nome. Alcune delle cose che mi hanno fatto sono state: farmi sedere come un cane mentre loro tenevano la corda del sacco e farmi abbaiare come un cane e loro ridevano di me. E [ho potuto vedere che] quel poliziotto era di colore rossiccio, perché mi ha sbattuto la testa al muro. Quando l’ha fatto il sacco è volato via e uno della polizia mi ha detto in arabo di strisciare, e io ho strisciato sulla pancia e la polizia mi sputava addosso mentre strisciavo e mi colpiva sulla schiena, sulla testa e sui piedi. È andata avanti così finché il loro turno è finito verso le 4 del mattino. La stessa cosa accadde i giorni successivi. Ricordo anche che la polizia mi ha colpito sulle orecchie, prima di – come al solito – picchiarmi, ammanettarmi, infilarmi la testa nel sacco, farmi mettere nelle posizioni dei cani e farmi strisciare di fronte a sei persone radunate. Uno di loro era un traduttore iracheno di nome Shaheen, aveva la pelle rossiccia e i baffi. Poi la polizia ha iniziato a colpirmi sui reni e poi mi hanno colpito sull’orecchio destro che ha cominciato a sanguinare e ho perso conoscenza. Poi il traduttore iracheno mi ha tirato su e mi ha detto: «Stai andando a dormire». Poi sono andato nella stanza. Mi sono svegliato di nuovo. Sono rimasto incosciente per circa due minuti. Il poliziotto mi ha trascinato nella stanza dove mi ha lavato l’orecchio e ha chiamato il dottore. Il dottore iracheno è venuto e mi ha detto di non potermi portare in clinica, quindi mi ha sistemato nel corridoio. Quando mi sono svegliato ho visto sei poliziotti americani. Pochi giorni prima che mi colpissero all’orecchio, il poliziotto americano, il tizio con gli occhiali mi ha messo, delle mutande da donna rosse sulla testa. E poi mi ha legato alla finestra che è nella cella con le mani dietro la schiena finché ho perso conoscenza. E ancora quando ero nella stanza numero 1 mi hanno detto di stendermi a pancia a terra e loro saltavano dal letto sopra la mia schiena e le mie gambe. E altri due mi sputavano addosso, mi coprivano di ingiurie e mi tenevano le mani e le gambe. Dopo che il tipo con gli occhiali si è stancato, due soldati americani mi hanno messo sul pavimento e mi hanno legato alla porta mentre ero steso a pancia a terra. Un poliziotto mi ha pisciato addosso e rideva di me. Poi mi ha liberato le mani e volevo lavarmi e il soldato è tornato nella stanza, e lui e il suo amico mi hanno urlato di stendermi giù, e io l’ho fatto. E poi il poliziotto mi ha aperto le gambe, con un sacco sulla testa, e si è seduto tra le mie gambe sulle sue ginocchia ed io lo guardavo da sotto il sacco e mi voleva scopare perché l’ho visto che apriva i pantaloni, allora ho cominciato a urlare forte e l’altro poliziotto ha cominciato a colpirmi con i piedi sul collo e mi ha messo un piede in testa così che non potessi urlare. Dopo sono andati via e il tipo con gli occhiali è tornato con un’altra persona e mi ha portato via dalla stanza e mi hanno messo di nuovo dentro la stanza buia e hanno iniziato a picchiarmi con una scopa che era lì. Poi hanno messo l’altoparlante dentro la stanza e hanno chiuso la porta e lui urlava nel microfono. Poi hanno rotto una lampada fluorescente e mi hanno versato [il contenuto] addosso finché sono diventato incandescente e loro ridevano. Mi hanno portato nella stanza e mi hanno fatto segno di mettermi a terra. E uno della polizia mi ha infilato una parte del bastone che porta sempre con sé in culo e ho sentito che è andato dentro per circa due centimetri. Ho iniziato ad urlare, e lui l’ha tirato fuori e l’ha lavato con l’acqua dentro la stanza. E le due ragazze americane che erano lì mentre mi picchiavano, loro mi colpivano con una palla fatta di spugna sull’uccello. E quando ero legato nella mia stanza, una delle ragazze, con i capelli biondi, bianca, giocava con il mio uccello. Ho visto dentro questa struttura molti maltrattamenti tipo quelli che hanno fatto a me e anche di più. E loro mi facevano delle foto durante tutti questi fatti.

Torture: foto 4

Torture: foto 4

Dichiarazione giurata rilasciata da Ameen Sa’eeo al-Sheick, detenuto numero 151362, il 16 gennaio 2004.

Io, Ameen Sa’eed al-Sheick, desidero rilasciare la seguente deposizione giurata: Sono Ameen Sa’eed al-Sheick. Sono stato arrestato il 7 ottobre 2003. Mi portarono alla prigione di Abu Ghraib dove mi tennero in una tenda per una notte. Durante la notte le guardie [venivano] ogni ora o ogni due e mi minacciavano di torture e punizioni. Il secondo giorno mi trasferirono nell’edificio. Prima di entrare un soldato mi mise in testa un sacco per la sabbia. Dopo di che non ho visto più niente. Una volta dentro l’edificio cominciarono ad urlarmi contro.

Mi denudarono e mi chiesero: «Preghi Allah?». Risposi: «Sì». Dissero: «Vaffanculo» e «Vaffanculo Allah». Uno di loro disse: «Non uscirai sano da qui, ne uscirai invalido». E mi chiese: «Sei sposato?». Risposi: «Sì». Dissero: «Se tua moglie ti vedesse in questo stato ne sarebbe delusa». Uno disse: «Ma se fosse qui ora non rimarrebbe insoddisfatta perché la violenterei».
Poi uno di loro mi portò alle docce, mi tolse il sacco e fui in grado di vederlo; un uomo nero che mi disse di fare la doccia e che sarebbe entrato a violentarmi e io ebbi molta paura. In seguito mi rimisero il sacco per la sabbia in testa e mi condussero alla cella numero 5. Nel corso dei 5 giorni seguenti non ho mai dormito perché venivano continuamente in cella chiedendomi di rimanere in piedi per ore e ore. Di solito sbattevano la porta esterna che faceva un rumore molto forte in cella. E quel soldato nero mi portò ancora una volta alle docce dove rimase in piedi a guardarmi. E mi minacciò ancora di stupro. Poi cominciarono ad interrogarmi. Mentii loro e mi minacciarono di punizioni molto severe. Chi mi interrogava si avvicinò e disse: «Se dici la verità ti lasceremo andare appena possibile prima del Ramadan». Così confessai e dissi la verità. Quattro giorni dopo mi portarono all’accampamento e non rividi più le persone che mi avevano interrogato. Fui di nuovo interrogato da nuove persone. Dopo che gli avevo detto la verità mi accusarono di ingannarli. Dopo 18 giorni nell’accampamento mi riportarono in prigione. Chiesi il motivo e risposero che non lo sapevano. Due giorni prima della fine del Ramadan (Ied) venne una persona per interrogarmi con una donna ed un interprete. Mi disse che ero molto vicino a rimanere in prigione per sempre. Cominciò e finì l’interrogatorio con quella frase. Il primo giorno dello Ied successe l’incidente della «fucilazione», fui colpito da diversi proiettili e trasferito all’ospedale. Lì venne l’inquirente «Steve» che mi minacciò delle più violente torture una volta tornato in prigione. Gli dissi: «Mi dispiace di quanto è accaduto». Lui disse: «Non scusarti adesso perché te ne pentirai più tardi». Dopo diversi giorni tornò e mi disse: «Se ti torturassi credi che sarebbe giusto?». Gli chiesi: «Perché?». Rispose che aveva bisogno che gli dessi maggiori informazioni. Gli dissi: «Ti ho già detto tutto quello che so». Rispose: «Lo vedremo quando tornerai in prigione». Dopo 17 o 18 giorni venni dimesso dall’ospedale e riportato ad Ami Ghraib, lui mi portò da qualche parte ed un soldato mi puntò una pistola alla testa. Disse: «Vorrei poterti uccidere adesso». Passai la notte in quel posto e la mattina successiva mi portarono alla prigione. Mi accolsero con urla e spintoni. Mi obbligarono a camminare dal cancello principale fino alla mia cella altrimenti mi avrebbero picchiato sulla gamba rotta. Stavo davvero male. Quando, arrivai alla cella presero le mie stampelle e non capii il perché. Dentro la cella mi chiesero di spogliarmi completamente nudo. Non mi hanno dato alcuna coperta o vestito o chissà che. Ogni una o due ore i soldati venivano a minacciarmi di morte o di torture o di rimanere in prigione per sempre e che mi avrebbero trasferito a Guantanamo. Uno di loro disse che non era riuscito a spararmi la prima volta ma di sicuro ce l’avrebbe fatta la seconda. E mi disse che avevano intenzione di gettare una pistola o un coltello nella cella per poi spararmi. A volte dicevano: «Faremo in modo che preferirai morire che vivere». Di notte venne il sorvegliante, il suo nome è Graner, aprì la porta ed entrò con tanti soldati. Mi obbligarono a mangiare carne di porco e mi riempirono la bocca di liquore. Mi versarono questa sostanza sul naso e sulla fronte ed era molto calda. Le guardie cominciarono a colpirmi ripetutamente sulla gamba rotta con un bastone di plastica dura. Disse che si era fatto male alla gamba e mi ha mostrato la ferita e che avrei pagato per quello. Mi spogliarono nudo. Uno disse che mi avrebbe violentato. Mi disegnò la figura di una donna sulla schiena e mi fece rimanere in una vergognosa posizione con il culo per aria. Qualcun altro mi chiese: «In cosa credi?». Risposi: «Credo in Allah». Così lui disse: «Ma io credo nella tortura e ti torturerò». «Quando tornerò a casa dirò a chi verrà dopo di me di torturarti». Poi mi ammanettarono e mi appesero al letto. Mi ordinarono di maledire l’islam e poiché ricominciarono a colpirmi la gamba rotta, maledii la mia religione. Mi ordinarono di ringraziare Gesù di essere vivo. E lo feci. Ciò è contro la mia fede. Mi lasciarono appeso al letto e poco dopo persi conoscenza. Quando mi risvegliai mi ritrovai ancora appeso tra il letto ed il pavimento. Ancora oggi non sento più niente da tre dita della mano destra. Mi sedetti sul letto e uno di loro era alla porta e mi pisciò addosso. Disse: «Graner, il tuo prigioniero si è pisciato addosso». Graner si avvicinò e rise. Dopo diverse ore Graner venne e mi slegò, così dormii. Al mattino vennero persone che non avevo mai visto ad umiliarmi e a spaventarmi con la minaccia di torture. La notte successiva arrivò Graner e mi legò alla porta della cella. Gli dissi: «Ho una spalla rotta ed ho paura che si rompa di nuovo perché il dottore mi ha detto di non mettere le braccia dietro la schiena». Disse: «Non ci credo». Poi mi tenne appeso alla porta per più di otto ore. Gridai di dolore per tutta la notte. Graner e altri venivano e mi chiedevano: «Ti fa male?». Rispondevo: «Sì». Dicevano «Bene» e mi colpivano sulla nuca. Poi un soldato mi slegò. La mia spalla destra ed il polso erano malconci e mi facevano molto male. Mentre ero appeso alla porta persi più volte conoscenza. Poi dormii. Al mattino dissi al dottore che probabilmente la mia spalla era rotta perché non potevo [muovere] la mano. Sentivo un dolore acuto. Controllò la spalla e mi disse: «Verrò con un altro dottore domani che ti visiterà». Il giorno dopo l’altro dottore controllò la spalla e disse che mi avrebbe portato all’ospedale il giorno dopo ancora per fare i raggi X. Ed il giorno dopo mi portò all’ospedale e mi fece i raggi X alla spalla e mi disse: «La tua spalla non è rotta, ma è gravemente lesionata». E mi riportarono alla prigione. Ogni volta che mi facevano uscire e rientrare dovevo strisciare sulla schiena perché non potevo camminare. Il giorno dopo, di notte, vennero dei soldati che mi fecero delle foto nudo. Mi umiliarono e maltrattarono e minacciarono. Poi vennero le persone per interrogarmi perché identificassi tra le foto la persona che mi diede le pistole. Ma quella persona non c’era tra quelle foto. Quando glielo dissi loro risposero che mi avrebbero torturato e che sarebbero venuti ogni notte a farmi la stessa domanda accompagnati da soldati armati e mi puntarono un’arma alla testa minacciandomi di morte. A volte [venivano] con i cani e mi legavano alla porta lasciando che i cani cercassero di mordermi. Successe per una settimana o più.

D: Iem.
R: Ameen Sa’eed al-Sheick.
D: Hai mai visto Graner picchiare un prigioniero?
R:No.
D: Hai mai visto Graner o altre guardie far montare i prigionieri nudi uno addosso all’altro?
R:No.
D: Hai mai visto Graner o altre guardie fare foto ai prigionieri?
R:No.
D: Hai mai visto Graner o altre guardie fare foto durante le punizioni?
R: No.
D: Hai mai visto Graner o altre soldati fare foto mentre picchiavano i prigionieri?
R:No.
D: Hai mai visto dei soldati che mettevano i prigionieri l’uno sull’altro nudi?
R:No.
D: Hai mai visto le guardie o qualche altro soldato americano far prendere ai prigionieri nudi pose sessuali?
R:No.
Si ha la sensazione che questa ultima parte della testimonianza, che pare ritrattare alcune cose dette prima e smentire le altre testimonianze, sia stata in qualche modo pilotata dalle pressioni degli inquirenti.

 

Torture: foto 5

Torture: foto 5

Dichiarazione giurata rilasciata da Mustafa Jassim Mustafa, detenuto numero 150542, il 17 gennaio 2004.

Due giorni prima del Ramadan la guardia Grainer è venuta con altre guardie, essi portavano due prigionieri e le guardie Grainer e Davis gli hanno fatto togliere tutti i vestiti fino a rimanere nudi e hanno iniziato a picchiarli molto. Uno dei prigionieri stava sanguinando da una ferita che aveva sull’occhio. Allora hanno chiamato il dottore che è venuto e l’ha sistemato. Dopo di che hanno iniziato a picchiarlo di nuovo. Mi hanno tolto tutti i vestiti fino a rimanere nudo per sette giorni e portavano gruppi di persone a guardarmi nudo. Hanno portato un prigioniero con un caso civile, il suo nome è XXX. È stato portato dalla guardia Grainer e da Davis e c’era una terza guardia. Non so il suo nome. Lo hanno picchiato molto, poi gli hanno tolto tutti i vestiti e gli hanno messo un filo elettrico nel culo e hanno iniziato a fargli delle foto. Grainer usava appendere i prigionieri per le mani alle porte e alle finestre in un modo che era veramente penoso per diverse ore e noi li sentivamo urlare. Un giorno Grainer e Davis hanno portato sei capi e li hanno spogliati nudi. Hanno iniziato a torturarli e a fare foto e si divertivano. Quando è venuto il dottore per sistemare una persona ferita, Grainer ha preso l’ago dal dottore e ha iniziato a cucire il taglio della persona ferita. Pochi giorni prima del Ramadan, Grainer e Davis e un’altra persona che è venuta con loro picchiavano selvaggiamente spesso un uomo di nome Amjed che era nella stanza numero 1. Lo picchiavano molto forte con un bastone e Grainer gli pisciava addosso e lo ha picchiato per circa una settimana finchè gli hanno ferito un occhio ed è venuto il dottore. Grainer e Davis, e il terzo uomo, picchiavano selvaggiamente spesso un uomo che veniva dalla Siria e lo spogliavano tutta la notte. Noi lo sentivamo urlare tutta la notte. Ogni volta che venivano nuovi prigionieri Grainer e Davis li spogliavano, li picchiavano e facevano foto. Ricordo un prigioniero di nome Wessam. Punto importante (*): tutte le guardie ad esclusione di Grainer e Davis sono molto buone con i prigionieri e i prigionieri come loro e li rispettano e sono molto felici con loro. Loro danno una buona immagine degli Stati Uniti e provano con il loro buon trattamento la grande differenza tra il partito Baath e gli Stati Uniti.
(*) Si è tentati di supporre che l’espressione «Important point» sia stata aggiunta dagli inquirenti, anche se il testo non è esplicito al proposito. L’ultima parte della dichiarazione, inoltre, sembra una forzatura, se raffrontata a quanto detto prima, forse dovuta anche in questo caso alle pressioni degli inquirenti.

Torture: foto 6

Torture: foto 6

Dichiarazione giurata rilasciata da Mustafa Jassillm Mustafa, detenuto numero 150542, il 18 gennaio 2004.

Prima del Ramadan, Grainer ha iniziato a coprire tutte le stanze con delle lenzuola. Poi sentivo delle urla venire dalla stanza numero 1, a quel tempo io ero nella stanza numero 50 e quella era esattamente sotto di me così guardavo dentro la stanza. Ho visto XXX nella stanza numero 1 che era nudo e Grainer che gli infilava nel culo la luce fluorescente. XXX gridava per chiedere aiuto. C’era anche un altro uomo bianco alto che era con Grainer e lo aiutava. C’era anche una soldatessa, bassa, che faceva le foto di XXX. XXX è adesso nella cella numero 50.

Torture: foto 7

Torture: foto 7

Dichiarazione giurata rilasciata da Nori Samir Gunbar al-Yasseri, detenuto numero 7787, il 17 gennaio 2004.

Io, Nori Samir Gunbar al-Yasseri, desidero rilasciare la seguente deposizione giurata:
Un giorno durante il Ramadan, non ricordo precisamente la data, fummo coinvolti in uno scontro al Reparto 2, così ci hanno portato in prigione. Appena arrivati ci hanno messo in testa sacchi di sabbia e hanno continuato a picchiarci e a chiamarci con nomi offensivi. Dopo averci tolto il sacco ci hanno fatto spogliare nudi come neonati. Poi ci ordinarono di prendere in mano il nostro pene e muovere la mano su e giù e tutto questo durante la notte. Cominciarono a fare foto come se fosse un film porno. Ci trattavano come animali, non umani. Continuarono a farlo per lungo tempo. Nessuno sembrava avere pietà di noi. Nient’altro che bestemmie e botte. Poi cominciarono a scrivere parole di cui non conosciamo il significato sui nostri culi. Dopo di che ci lasciarono nudi per due giorni, senza vestiti, senza materassi, come cani. Ogni notte lo stesso militare veniva a picchiarci e ad ammanettarci fino alla fine del suo turno, alle 4.00. Successe per tre giorni e non ci ha mai portato da mangiare ad eccezione di pane e tè. Se le razioni avessero contenuto pollo, lo avrebbe gettato via. La prima notte in cui ci hanno fatto spogliare nudi ci hanno costretto a rimanere carponi su mani e ginocchia e ci hanno fatto montare uno sull’altro. Fecero fotografie da davanti e da dietro. E se qualcuno volesse i dettagli dell’operazione prenda i negativi da chi era di guardia quella notte e troverà che tutto ciò che ho detto è vero. Il giorno dopo quello del turno diurno ci ha dato dei vestiti ma all’inizio del turno notturno arrivò la stessa guardia che ci aveva torturati, prese i vestiti e ci lasciò nudi e ammanettati al letto. Alla fine del suo turno ci slegò e picchiò nello stomaco, ci colpì in testa ed in faccia. Poi tornò a casa. Ho continuato a pensare che cosa quell’uomo bianco con gli occhiali bianchi ci avrebbe fatto la notte successiva. Quando lo vedo ho paura di morire. Anche per questo guardate le foto conservate tra le sue cose. Lui e le due soldatesse basse e il soldato nero in turno durante quella notte scura. Quando eravamo nudi ci ordinò di muovere la mano sull’uccello come se ci stessimo masturbando e quando abbiamo cominciato a farlo ha portato un altro carcerato, lo ha fatto sedere sulle ginocchia davanti al pene ed ha fatto foto in modo che sembrasse che il carcerato stesse tenendo il pene in bocca. Appena prima mi sono accorto che qualcuno stava giocando con il mio pene con una penna. Dopo di che fecero mettere Hashim di fronte a me e mi obbligarono a leccargli la faccia ma mi sono rifiutato perché è mio amico. Poi hanno chiesto ad Hashim di picchiarmi, così mi ha colpito nello stomaco. Sono stato io a chiedergli di farlo in modo che non lo picchiassero come hanno fatto con me quando mi sono rifiutato di colpire Hashim. Nori Samir, Hussein, Mustafa Mahadi Salah, Hashim, Hiadar, Hathem, Ahmed Sabri, questi erano i nomi delle persone che erano là quella notte che durò come mille notti.
D: Iem.
R: Nori Samir Gunbar al-Yasseri.
D: Quanti soldati c’erano quella notte?
R: 3 uomini e 2 donne.
D: Sai i nomi dei soldati?
R: No, ma potrei descrivere uno di loro, il supervisore. Potrei farlo perché Fho visto tutte le notti in cui sono stato là.
D: Com’è il supervisore?
R: Bianco, muscoloso, porta occhiali chiari da medico. Ha un tatuaggio blu su una spalla. Non so quale spalla né il disegno del tatuaggio. Lavora ogni notte tra le 4 del pomeriggio e le 4 del mattino.

Dichiarazione giurata rilasciata da Shalan Said Alsharoni detenuto numero 150422, il 17 gennaio 2004.

Durante uno di quei giorni le guardie torturarono i prigionieri. Quelle guardie erano Grainer, Davis ed un altro uomo. Torturarono per primo un uomo di nome Amjid, iracheno. Lo spogliarono e picchiarono finché svenne e lo insultarono e quando gli alzarono la testa gli ho visto il sangue che scendeva. Lo portarono in isolamento e lo picchiarono ogni notte. Il turno serale fu terribile per i prigionieri. Ammanettarono tre prigionieri tra loro e spinsero il primo a mettersi sopra agli altri come se fossero gay e quando si rifiutarono Grainer li picchiò finché riuscirono nel loro intento di farli montare uno addosso all’altro e li fotografarono. Poi malmenarono un iracheno di nome Assad a cui ordinarono di rimanere in piedi fermo su di un cartone e cominciarono a gettargli addosso acqua e quella volta era gelata. Per torturarlo presero dei guanti con cui gli picchiarono l’uccello e i testicoli e lo ammanettarono alla porta della cella dove rimase in quella condizione per mezza giornata senza cibo e acqua. Dopo di che andarono a prendere giovani prigionieri iracheni e Grainer li torturò gettandogli addosso acqua dal secondo piano finché uno dei prigionieri cominciò a piangere e ad urlare e a dire: «II mio cuore». Chiamarono i dottori per assisterlo mentre pensavano che stesse morendo. Dopo portarono sei persone e le picchiarono fino a farli cadere per terra ed il naso di uno di loro era rotto ed il sangue scendeva dal naso mentre urlava ma nessuno ci faceva caso e gli autori di tutte quelle botte erano Grainer e Davis ed un altro uomo di cui non conosco il nome. Venne il dottore per suturare il naso e Grainer chiese al dottore di insegnargli a suturare ed è andata proprio così, la guardia ha imparato a suturare. Prese filo e ago e si sedette a finire la sutura fino a finire l’operazione. Poi arrivò l’altro uomo a fare fotografie alla persona ferita che giaceva a terra. Dopo di che picchiarono il resto del gruppo fino a farli cadere. Ogni volta che uno cadeva lo obbligavano ad alzarsi in piedi. Grainer menò un uomo chiamato Ali il Siriano e lo picchiò fino a farlo impazzire. E gli diceva di salire al secondo piano nudo. Aprirono le porte delle celle per consentire a tutti i prigionieri di vederlo andare in giro nudo. Poi lo portarono in cella e per quattro giorni gli gettarono acqua addosso in modo che non potesse dormire. Prima di ciò stava nella cella numero 4. Lo appesero e lui gridava ma nessuno lo aiutò. C’era un traduttore di nome Abu Adell l’Egiziano. Aiutava Grainer e Davis ed altri che non ricordo come se stessero guardando un film di tre giovani messi uno sull’altro da Abu Adell. Ed ognuno di loro fotografava con la propria macchina. Questo è ciò che ho visto e che ricordo come vero.

Torture: foto 8

Torture: foto 8

Dichiarazione giurata rilasciata da Mohanded Juma, detenuto numero 152307, il 18 gennaio 2004.

Inizio dal primo giorno che sono andato nel reparto Al. Mi hanno spogliato dei miei vestiti e di tutta la roba che mi avevano dato e ho trascorso in questa situazione 6 giorni. Dopo mi hanno dato solo una coperta. Tre giorni dopo mi hanno dato un materasso e dopo un breve periodo di tempo, approssimativamente verso le due di notte, la porta si è aperta e Grainer era lì. Mi ha ammanettato con le mani dietro la schiena e mi ha legato i piedi e mi ha portato nella stanza della doccia. Quando hanno finito di interrogarmi la donna che mi interrogava se ne è andata. E poi Grainer e un altro uomo, che somiglia a Grainer ma non ha gli occhiali e ha i baffi ed era giovane e alto, sono venuti nella stanza. Mi hanno gettato in faccia del pepe e hanno iniziato a picchiarmi. È andata avanti per una mezz’ora. Poi hanno iniziato a picchiarmi con una sedia finché la sedia si è rotta. Dopo di che hanno iniziato a soffocarmi. A quel punto ho pensato che stavo morendo, ma per miracolo sono vivo. Poi hanno iniziato a picchiarmi di nuovo. Si sono concentrati a picchiarmi sul cuore finché non si sono stancati di picchiarmi. Si sono presi una piccola pausa e poi hanno iniziato a darmi dei calci molto forti finché sono svenuto. Nel secondo episodio nel turno di notte, ho visto una nuova guardia che porta gli occhiali e ha la faccia rossa. Egli ha caricato la sua pistola e l’ha puntata verso molti prigionieri per minacciarli. Ho visto cose che nessuno vorrebbe vedere, cose allucinanti. Sono venuti al turno di mattina con due prigionieri ed erano padre e figlio. Erano entrambi nudi. Li hanno messi uno di fronte all’altro, hanno contato 1, 2, 3 e hanno tolto i sacchi che avevano in testa. Quando il figlio ha visto suo padre nudo è scoppiato a piangere. Stava piangendo perché ha visto suo padre. Poi la notte Grainer buttava il cibo nel gabinetto e diceva: «Vai a prenderlo e mangialo». E ho visto anche che nella stanza numero 5 portavano i cani. Grainer portava i cani che lo mordevano sulla gamba destra e sinistra. Era un iraniano e hanno iniziato a picchiarlo selvaggiamente nel corridoio centrale della prigione.

Torture: foto 9

Torture: foto 9

Dichiarazione giurata rilasciata da Abd Alwhab Youss, detenuto numero 150425, il 17 gennaio 2004.

Un giorno mentre ero in prigione la guardia è venuta e ha trovato uno spazzolino da denti rotto e hanno detto che io stavo per attaccare la polizia americana. Io ho detto che uno spazzolino da denti non era una mina. Loro hanno detto: «Ti portiamo via i tuoi vestiti e il materasso per sei giorni e non ti picchiamo». Ma il giorno dopo la guardia è venuta e mi ha ammanettato alla porta della cella per due ore, poi mi ha portato in una stanza chiusa e più di cinque guardie mi hanno versato acqua fredda addosso, e mi hanno costretto a mettere la testa nell’urina di qualcuno che era già nella stanza. Dopo di che mi hanno picchiato con un bastone e hanno camminato sulla mia testa con i loro piedi mentre era ancora nell’urina. Mi premevano il culo con un bastone e ci sputavano sopra. Anche una donna, di cui non so il nome, stava sulle mie gambe. Hanno usato un altoparlante per urlare verso di me per tre ore. Faceva freddo. Ma per dire la verità quel giorno Joiner [Joyner] mi ha dato i miei vestiti e di notte Grainer me li ha portati via. La verità è che mi hanno dato i miei vestiti dopo tre giorni. Non hanno finito i sei giorni e grazie.

Dichiarazione giurata rilasciata da Hiadar Sabar Abed Mik-tub al-Aboodi, detenuto numero 13077, il 20 gennaio 2004.

Quando sono andato la prima volta nell’«Hard Site», i soldati americani mi hanno preso, c’erano due soldati e un traduttore di nome Abu Hamed. Noi eravamo nel corridoio prima dell’«Hard Site» e hanno iniziato a toglierci i vestiti uno dopo l’altro. Dopo che mi hanno tolto i vestiti il soldato americano ha tolto chi portava gli occhiali, guardia notturna, e ho visto una soldatessa americana che loro chiamavano MS Maya, davanti a me. Mi dicevano di toccarmi il pene davanti a lei. Poi mi hanno coperto di nuovo la testa, e mentre io stavo facendo quello che mi avevano chiesto, mi hanno tolto il sacco e ho visto il mio amico che stava proprio davanti a me sul pavimento. Poi mi hanno detto di sedermi a terra di fronte al muro. Hanno portato un altro prigioniero sulla mia schiena e anche lui era nudo. Poi mi hanno ordinato di piegarmi sulle ginocchia e di poggiare le mani a terra. E poi hanno messo altri tre sulla nostra schiena, nudi. Poi mi hanno ordinato di dormire a pancia a terra e hanno ordinato agli altri di dormire sopra di me nella stessa posizione e la stessa maniera per tutti noi. Eravamo in sei. Loro ridevano, scattavano foto, e camminavano sulle nostre mani e sulle nostre ginocchia. E noi dovevamo abbaiare come cani e se non lo facevamo iniziavano a picchiarci forte in faccia e sul petto senza pietà. Dopo di questo ci hanno portato nelle nostre celle, hanno tolto i materassi e hanno buttato dell’acqua sul pavimento e ci hanno fatto dormire a pancia a terra sul pavimento con i sacchi in testa e hanno fatto foto di tutto. Mr Joyner è arrivato al mattino e ci ha dato materassi, coperte e cibo ma il secondo tizio che portava gli occhiali era l’opposto: lui prende i materassi, ci lega le mani, ci picchia e non ci da cibo. Tutto questo è durato per 10 giorni e il traduttore Abu Hamed era lì. L’ho visto solo quando sono arrivato, ma dopo sapevo che era lì perché sentivo la sua voce durante tutto questo.

Torture: foto 10

Torture: foto 10

Dichiarazione giurata rilasciata da Abu Hussain Saad Faleh, detenuto numero 18470, il 16 gennaio 2004.

Il terzo giorno, dopo le 5, arrivò Mr Grainer e mi portò nella stanza numero 37, le docce, e cominciò a maltrattarmi. Poi portò una scatola di cibo e mi obbligò a salirvi in piedi senza vestiti ad eccezione di una coperta. Poi arrivò un soldato alto e nero che mise fili elettrici alle mie dita ed alle dita dei piedi e sul mio pene ed un sacco in testa. Diceva: «Qual’è l’interruttore giusto per l’elettricità?». Prese un megafono e cominciò ad urlarmi all’orecchio, poi prese una macchina fotografica e mi scattò delle foto, cosa che ho capito dal rumore del flash della macchina. Mi tolse il cappuccio e descrisse alcune pose in cui voleva che mi mettessi ma ero stanco e caddi. Ed ecco che arrivò Mr Grainer che mi obbligò ad alzarmi su di una sedia ed a tenere in mano una scatola di cibo. Ero così stanco che la lasciai cadere. Cominciò ad urlarmi in inglese. Mi fece tenere in aria una sedia bianca. Poi la sedia mi cadde e Mr Joyner mi tolse il cappuccio e mi ricondusse alla mia stanza. Dormii circa un’ora, poi mi svegliai al momento dell’appello. Non riuscii a dormire poi a causa della paura.

Dichiarazione giurata rilasciata da Hussein Mohssein Mata al-Zayiadi, detenuto numero 19446, il 18 gennaio 2004.
Ero in isolamento, io ed i miei amici. Siamo stati trattati male. Ci hanno tolto i vestiti, anche l’intimo, e picchiato molto duramente e ci hanno messo un cappuccio in testa. E quando gli ho detto che sono malato hanno riso di me e mi hanno picchiato. Uno di loro prese un mio amico e gli disse: «Stai lì» e mi hanno fatto inginocchiare di fronte al mio amico. Hanno detto al mio amico di masturbarsi ed anche a me mentre loro facevano fotografie. Dopo di che portarono i miei amici Naldar, Ahmed, Nori, Ahzem, Hashiem, Mustafa ed io e ci misero due sotto, due sopra di loro, due ancora sopra ed uno in cima. Ci hanno fatto delle foto ed eravamo nudi. Dopo le botte ci hanno portato alle nostre celle separate ed hanno aperto l’acqua nelle celle e ci hanno obbligato a stare a faccia in giù nell’acqua dove rimanemmo fino al mattino, nell’acqua, nudi, senza vestiti. Poi uno del turno successivo ci ha dato dei vestiti ma il turno ancora successivo ci ha tolto di notte i vestiti e ammanettato al letto. Le guardie erano quattro. Due maschi di cui uno aveva un tatuaggio a catena sul braccio e portava gli occhiali. L’altro aveva un tatuaggio simile ad un drago sulla schiena. La donna con gli occhiali era bassa con i capelli corti. I capelli dell’altra donna erano gialli ed era mediamente alta.
D: Iem.
R: Hussein Mohssein Mata al-Zayiadi.
D: Come ti sentivi mentre le guardie ti trattavano in questo modo?
R. Volevo uccidermi ma non avevo alcun mezzo per farlo.
D: Le guardie ti hanno obbligato a muoverti in terra sulle mani e sulle ginocchia?
R: Sì, ci hanno obbligato.
D: Che facevano le guardie mentre vi muovevate sulle mani e sulle ginocchia?
R: Erano seduti sulle nostre schiene come se stessero cavalcando animali. D: Che facevano le guardie mentre eravate uno sull’altro?
R: Facevano foto e scrivevano sui nostri culi.
D: Quante volte vi hanno trattato in questo modo?
R: La prima volta appena arrivato, il secondo giorno ci hanno messo nell’acqua ed ammanettati.
D: Hai visto le guardie trattare altri carcerati in questo modo?
R: No, ma ho sentito urla provenire da altre sezioni.

Dichiarazione giurata rilasciata da Azad Hamza Hanfosh, detenuto numero 152529, il 17 gennaio 2004.

Il 5 novembre 2003 quando le truppe statunitensi mi trasferirono all’isolamento, mentre mi facevano scendere dalla macchina un soldato americano mi colpì in faccia con la mano. Poi mi spogliarono nudo e mi misero sotto l’acqua mentre lui mi faceva strisciare nel corridoio finché ho cominciato a sanguinare dal torace, dalle ginocchia e dalle mani. Dopo di che mi portò in cella ed un’ora dopo mi fece uscire dalla cella una seconda volta e mi condusse alle docce sotto acqua gelida, poi mi costrinse a salire nudo su di una scatola e mi colpì sulle mie parti intime. Non so con cosa, poi caddi a terra. Mi ha fatto strisciare per terra. Poi mi ha fatto rimanere nudo con le mani legate nella mia cella fino al mattino, quando Joyner arrivò e mi liberò le mani e mi riportò nella mia stanza ridandomi i miei vestiti. Circa due giorni dopo venne il momento del mio interrogatorio e quando finì un soldato bianco che portava gli occhiali mi prese dalla stanza in cui ero. Mi afferrò la testa e la picchiò contro il muro e poi legò al letto le mie mani fino a mezzogiorno del giorno seguente e poi due giorni dopo lo stesso soldato si prese tutti i miei vestiti e il mio materasso e non mi diede nulla in cambio per dormire ad eccezione della mia tuta per tre giorni. Poi tornò Joyner che mi diede per la seconda volta una coperta e i miei vestiti.

Torture: foto 11

Torture: foto 11

Dichiarazione giurata rilasciata da Thaar Salnian Dawod, detenuto numero 150427, il 17 gennaio 2004.

Sono andato nella cella d’isolamento il 10 settembre 2003. Sono stato lì per 67 giorni di sofferenze, con poco cibo e ho visto io stesso la tortura. Quando ho chiesto alla guardia Joiner l’orario, lui mi ha ammanettato alla porta, dopo quando il suo lavoro era finito è venuta la seconda guardia, il suo nome è Grainer, mi ha liberato le mani dalla porta e me le ha legate dietro la schiena. Poi gli ho detto che non avevo fatto nulla per essere maltrattato in quel modo e quando ho detto questo lui mi ha colpito forte al petto e mi ha legato alla finestra della stanza per circa 5 ore e non mi ha dato cibo quel giorno e sono stato senza cibo per 24 ore. Ho visto molte persone rimanere nude per alcuni giorni, essere maltrattate nel primo giorno del Ramadan. Sono venuti con due ragazzi nudi ed erano ammanettati insieme faccia a faccia e Grainer li picchiava e un gruppo di guardie li guardava e faceva foto da sopra e da sotto e c’erano tre soldatesse che ridevano dei prigionieri. Due dei prigionieri erano giovani. Non so i loro nomi.

Dal Rapporto del Comitato Internazionale della Croce Rossa del febbraio 2004.

In un caso esemplare, una persona privata della sua libertà, arrestata a casa propria dalle forze della Coalizione in quanto sospettata di essere coinvolta in un attacco contro le forze della Coalizione stesse, era stata presumibilmente picchiata durante l’interrogatorio in una località nelle vicinanze di Camp Cropper. L’uomo ha dichiarato di essere stato incappucciato, di essere stato ammanettato con le manette flessibili di plastica, di essere stato costretto ad aprire la bocca nella quale gli è stata incastrata una palla da baseball che è stata fissata con una sciarpa, e di essere stato privato del sonno per quattro giorni consecutivi. Durante l’interrogatorio l’uomo sarebbe stato maltrattato e quando ha detto che se ne sarebbe lamentato con il Cicr [Comitato internazionale della Croce Rossa,] è stato picchiato ancora più forte. La visita medica effettuata su di lui da un medico del Cicr ha evidenziato degli ematomi alla parte inferiore della schiena, nel sangue nelle urine, la perdita di sensibilità della mano destra per le manette troppo strette e una costola rotta.

Testimonianze dall’Afghanistan e da Guantanamo
Dalla lettera inviata da Shafiq Rasul e Asif Iqbal, cittadini britannici rilasciati da Guantanamo l’8 marzo 2004, alla commissione Servizi militari del Senato degli Stati Uniti il 13 maggio 2004 (La lettera originale è disponibile sul sito del Center for Constitutional – Rights, http://www.ccr-ny.org/v2/home.asp).

A Kandahar, venivamo interrogati da soldati statunitensi sulle ginocchia, in catene con le pistole puntate alla testa, e venivamo presi a calci e picchiati. Ci hanno messo il «tre pezzi» fatto di una cintura con una catena di ferro fino alla gamba e catene per le mani legate. Prima di imbarcarci sull’aereo per Guantanamo ci hanno messo dei paraorecchie, degli occhiali di protezione verniciati dal di fuori e maschere chirurgiche così che eravamo completamente disorientati. Sull’aereo ci hanno incatenato al pavimento senza accesso al bagno per tutte le 22 ore di volo. Anche i nostri interrogatori a Guantanamo erano condotti con noi incatenati al pavimento per ore e ore, così a lungo che era normale che le sedie di plastica degli iriquirenti venissero bagnate poiché i prigionieri erano costretti a urinare durante gli interrogatori e non era loro consentito andare in bagno. Una pratica che è stata introdotta specificamente sotto il regime del generale Miller era la «short shackling» [«incatenamento corto»] in cui noi eravamo costretti a sederci senza sedia con le mani incatenate tra le gambe e incatenati al pavimento. Se fossimo caduti, le catene ci avrebbero tagliato le mani. Venivamo lasciati in questa posizione per ore prima di un interrogatorio, durante gli interrogatori (che potevano durare anche 12 ore) e qualche volta per ore dopo che l’inquirente era andato via. L’aria condizionata era programmata talmente alta che in alcuni minuti gelavamo. C’erano luci stroboscopiche e musica talmente forte che costituivano da sole una forma di tortura. Qualche volta venivano portati dei cani per spaventarci. Non venivamo nutriti per tutto il tempo che stavamo lì, e quando tornavamo nelle nostre celle, non venivamo nutriti per quel giorno. Dobbiamo far notare che c’erano e senza dubbio ci sono ancora telecamere ovunque nelle aree degli interrogatori. Sappiamo che ciò che potrebbe contraddire ciò che viene detto ufficialmente esiste. Sappiamo che telecamere a circuito chiuso, video e fotografie esistono dal momento che siamo stati regolarmente filmati e fotografati durante gli interrogatori e anche in altri momenti. Hanno registrato gli interrogatori in cui noi siamo condotti a fare false confessioni: insistevano che noi fossimo gli altri uomini in un video, che ci mostravano, dell’agosto del 2000 con Osama bin Laden e Mohamed Atta, ma noi eravamo in Inghilterra in quel periodo. Dopo tre mesi di isolamento sotto dure condizioni e ripetuti interrogatori, alla fine abbiamo acconsentito a confessare. Lo scorso settembre un agente dell’MI5 [servizio segreto britannico] venne a Guantanamo con documentazione evidente che provava che noi non eravamo in Afghanistan nel momento in cui il video è stato fatto. Alla fine siamo riusciti a provare il nostro alibi, ma siamo preoccupati per le persone di quei paesi in cui i documenti non sono disponibili. Soldati ci hanno detto personalmente che andavano nelle celle e davano bastonate con spranghe di metallo di cui poi non relazionavano. I soldati ci dicevano: «Noi possiamo fare tutto quello che vogliamo». Noi stessi abbiamo assistito a brutali assalti ai prigionieri. Uno, nell’aprile del 2002, avvenne nei confronti di Jummah Al-Dousari dal Bahrein, un uomo che è rimasto con disturbi mentali: stava sdraiato sul pavimento della gabbia immediatamente attaccata alla nostra quando un gruppo di otto o nove guardie conosciute come Squadra Erf (Estreme reaction force) sono entrati nella sua gabbia. Li abbiamo visti attaccarlo brutalmente. Lo hanno pestato sul collo, lo hanno preso a calci nello stomaco nonostante egli avesse lì delle parti in metallo come risultato di un’operazione, gli alzavano la testa e gli sbattevano la faccia a terra. Ad un ufficiale donna era stato ordinato di andare nella sua cella e prenderlo a calci e picchiarlo allo stomaco, cosa che lei ha fatto. Questo è conosciuto come «Erf». Un altro detenuto dallo Yemen, fu colpito talmente forte che abbiamo saputo essere ancora in ospedale 18 mesi dopo. E stato detto che ha tentato 11 suicidio. Non è questo il caso. Desideriamo chiarire che tutti questi e gli altri episodi e tutta la brutalità, l’umiliazione e la degradazione avevano chiaramente luogo come risultati di politiche e ordini ufficiali. Sotto il regime del generale Miller, era una pratica regolare per i detenuti avere i capelli e la barba rasati. Ci veniva detto che era perché avevamo fallito nel cooperare negli interrogatori. […] Tutto questo veniva filmato mentre accadeva. Siamo venuti a conoscenza che anche di fronte a rappresentanti della Croce Rossa che sono stati testimoni personalmente almeno di una di queste cose, l’amministrazione del campo ha negato alla Croce Rossa che queste pratiche esistevano. Qualche volta i detenuti venivano portati nella stanza degli interrogatori giorno dopo giorno e venivano sottoposti alla «short-shackling» senza che nessun interrogatorio avesse luogo, perfino per settimane. Abbiamo sentito racconti angoscianti fatti da altri detenuti che venivano portati nella stanza degli interrogatori, lasciati nudi e incatenati a terra, di donne che venivano portate dentro la stanza e che li provocavano inopportunamente e anzi li molestavano. Era completamente chiaro a tutti i detenuti che questo accadeva a prigionieri particolarmente vulnerabili, specialmente a chi aveva una rigida formazione islamica. Poco prima che noi andassimo via iniziò una nuova pratica. Le persone venivano portate in quello che era chiamato il blocco «Romeo», dove venivano spogliate completamente. Dopo tre giorni venivano date loro delle mutande. Dopo altri tre giorni veniva data loro una maglia, e ancora dopo altri tre giorni i pantaloni. Alcuni ebbero solo le mutande. Tutto questo, dicevano, per essersi comportati male. (Punizione costantemente imposta dentro Guantanamo, giustificata con l’infrazione di una qualunque «regola», incluso, per esempio, avere due tazze di plastica nella tua gabbia quando ti era consentito averne solo una o avere un rosario per la preghiera in più o troppa carta igienica o sale in eccesso). Per quanto riguarda il lasciare i detenuti nudi, è a nostra conoscenza che la Croce Rossa ha protestato a riguardo con il colonnello e poi con il generale e ancora con l’amministraziorie statunitense. […]

Dal rapporto di Amnesty International «Undermining security: violations of human dignity, the rule of law and the National Security Strategy in “war on terror” detentions», del 9 aprile 2004.

Mohammed Ismail Agha era un «ragazzo di villaggio tredicenne magro e ignorante» quando è stato preso sotto la custodia americana in Afghanistan alla fine del 2002 e portato alla base aerea di Bgram per sei settimane. Non è mai stato considerato uria «minaccia per gli Stati Uniti» e di conseguenza è stato trattenuto senza imputazione né processo per più di un anno, anche nella baia di Guantanamo. È stato rilasciato in Afghanistan a fine gennaio 2004 assieme ad altri due bambini detenuti, al seguito di una dichiarazione ufficiale che affermava che essi «non costituiscono più una minaccia per la nostra nazione», senza spiegare come dei bambini potessero minacciare la sicurezza di uno dei paesi più potenti della Terra. Mohammed Ismail Agha ha affermato che è stato portato in cella di isolamento a Bagram e sottoposto a quelle che sono diventate note come «tecniche di stress e costrizione». Ha detto: «Mi interrogavano ogni giorno e nei primi tre o quattro giorni mi davano pochissimo cibo. E mi maltrattavano». Ha detto di essere stato costretto a sedersi sulle natiche per tre o quattro ore per volta anche quando voleva dormire. Ha detto: «Era veramente un brutto posto. Ogni volta che mi addormentavo, loro prendevano a calci la porta e mi urlavano per farmi svegliare. Quando tentavano di farmi confessare, mi facevano stare in piedi, con le ginocchia piegate per una o due ore. Qualche volta non ce la facevo più e cadevo, ma loro mi facevano rimettere in piedi di nuovo.

Wazir Mohammad, un tassista afgano, è stato rilasciato da Guantanamo nel novembre 2003 e ha parlato con Amnesty International a Kabul alla fine di febbraio 2004. Durante l’intervista ha ricordato la sua detenizione sotto la custodia statunitense in Afghanistan ad aprile e maggio 2002 prima di essere trasferito a Guantanamo. Ha detto di essere stato tenuto in una cella da solo nella base aerea di Bagram per 45 giorni, incatenato e ammanettato per la prima settimana. Ricorda la luce accesa 24 ore su 24 nell’area di detenzione e che i militari stessi tenevano i detenuti svegli la notte sbattendo una stecca di metallo per fare un forte rumore. E stato interrogato una volta per circa un’ora. Ogni giorno per 45 giorni gli è stato detto che sarebbe stato rilasciato. Wazir Mohammad invece non è stato rilasciato ma trasferito da Bagram alla base aerea di Kandahar. Ha detto che durante il trasferimento è stato incappucciato e ammanettato e che le manette erano talmente strette che gli hanno interrotto il flusso sanguigno alle mani. A Kandahar è stato interrogato di nuovo per circa un’ora. Ha detto che è stato costretto a trascinarsi sulle ginocchia dalla sua cella alla stanza degli interrogatori, e si è trascinato così per dieci minuti. Durante la sua permanenza a Bagram e Kandahar, Wazir Mohammad è stato tenuto in isolamento. Non aveva alcuna opportunità di impugnare la legittimità di questa detenzione. Non aveva nessun avvocato, nessun contatto con la sua famiglia, non era stato portato davanti a nessuna corte, incluso il «tribunale competente» previsto dalla Convenzione di Ginevra per determinare lo stato di un prigioniero in tempo di guerra. Così come non ha mai incontrato un delegato del Comitato internazionale della Croce Rossa. È stato poi messo sull’aereo per Guantanamo. Ha detto di essere stato incappucciato e ammanettato per tutte le 22 ore di volo. Quando gli è stato chiesto circa la possibilità di andare in bagno, ha rifiutato di rispondere dicendo che non poteva parlare di alcune cose che sono successe sull’aereo. All’arrivo a Guantanamo, Wazir Mohammad ha detto che lui e gli altri detenuti che erano con lui sono stati tirati fuori dall’aereo «come fossero mercé, non persone». […]

Dal rapporto di Amnesty International «Usa: The threat of a bad example – Undermining International standards as “war on terror” detentions continue», del 19 agosto 2003.

«Ma che giustizia è questa? Prendere una persona innocente per 13 mesi, prendere qualcuno dalla strada e incarcerarlo senza prove, senza una opportuna indagine. E questa la loro legge?». […] Sayed Abassin ha trascorso più di un anno in custodia americana senza accusa né processo, prima in Afghanistan e poi a Guantanamo Bay, apparentemente per la sola ragione che in un giorno di aprile del 2002 si trovava nel posto sbagliato al momento sbagliato. Questo tassista afghano ventottenne era in viaggio da Kabul a Khost nell’aprile 2002. A Gardez il suo taxi è stato fermato ad un checkpoint da uomini che dicevano che uno dei suoi passeggeri era il cugino di un potente della regione. […] Egli è stato arrestato nonostante avesse spiegato che era solo un tassista e non conosceva i passeggeri. È stato portato alla stazione di polizia di Gardez dove ha detto di essere stato picchiato prima di essere consegnato alla custodia dei militari americani. Gli hanno fatto qualche domanda e poi è stato trasferito in elicottero alla base aerea di Bagram. […] Lì Sayed Abassin dice di essere stato ammanettato e incatenato per la prima settimana, tenuto alla luce 24 ore al giorno e svegliato dalle guardie quando tentava di dormire, interrogato sei o sette volte, [dice che] non ha ricevuto sufficiente cibo, non gli era permesso di parlare né di guardare altri detenuti ed era costretto a stare in piedi o in ginocchio per ore. Ricorda anche il suo trasferimento nella base americana di Kandahar – trattato rudemente, con le orecchie coperte, un sacco nero sulla testa e chiuso attorno al collo, con le mani e le gambe legate. Afferma che ai detenuti a Kandahar non era consentito guardare in faccia i Soldati. Se lo facevano, venivano fatti stare in ginocchio per un’ora. Se lo ripetevano una seconda volta, li facevano stare in ginocchio due ore. Dice di essere stato interrogato cinque o sei volte a Kandahar. Durante tutto il tempo in cui è stato in custodia americana, Sayed Abassin non ha avuto accesso ad un avvocato, ad una corte, né ad un «tribunale competente» previsto dalla Terza Convenzione di Ginevra. Probabilmente se ne avesse avuto la possibilità, sarebbe stato rilasciato. E invece è stato trasferito a Guantanamo Bay, dove la negazione di qualunque procedimento legale è continuata per il successivo anno. Ha raccontato ad Amnesty di essere stato interrogato dieci volte o anche di più nelle prime settimane dopo il suo arrivo a Camp Delta, e di essere poi restato lì per altri dieci mesi senza nessun altro interrogatorio prima di essere rilasciato. Sayed Abassin è stato rilasciato da Guantanamo nell’aprile 2003 e riportato in Afghanistan. Gli è stato fatto firmare un accordo [in cui affermava] di non avere alcun legame con i talebani o con al-Qaida e di non fare nulla che potrebbe danneggiare l’America, nonostante l’apparente assenza di qualunque prova che egli avesse simili legami. Conoscenti di Sayed Abassin a Kabul dopo il suo ritomo in Afghanistan hanno detto: «Lui è semplicemente un tassista [che era] nel posto sbagliato al momento sbagliato. […] I tassisti non dovrebbero essere portati a Guantanamo, dovrebbero essere interrogati qui, o attraverso il governo afghano. […] Non li metti in prigione e li tieni lontani per un anno. Non ha potuto sostenere la sua famiglia e adesso ha bisogno di soldi. Gli americani dovrebbero risarcirlo per tutto ciò che ha perso». Gli americani affermano che sono detenuti a Guantanamo i cosiddetti combattenti nemici. […] Come ha fatto Sayed Abassin a finire in questa categoria? E quanti ancora come lui sono a Guantanamo? Sayed Abassin stesso afferma che ce n’è almeno un altro. Il suo migliore amico, Wazir Mohammad [vedi testimonianze precedenti], anche lui tassista, di circa trent’anni, è stato arrestato a Gardez dopo che era andato al checkpoint a chiedere dove fosse Abassin. Anch’egli è stato arrestato al checkpoint dalle guardie afghane, consegnato alla custodia americana e successivamente spedito a Camp Delta, dove è rimasto più di anno dopo, senza imputazioni, senza processo, e senza avvocato. […] Sayed Abassin ha raccontato ad Amnesty International che lo facevano stare in ginocchio per ore ed era anche soggetto a deprivazione del sonno e a stare incatenato a lungo. […] Ricorda: «Sono arrivato [a Guantanamo] legato e imbavagliato […] è stato il peggior giorno della mia vita». Afferma che non gli è stato detto perché veniva trasferito né dove venisse portato. […] [Racconta che] secondo lui la deprivazione del sonno era il risultato del regime lì, a causa dell’illuminazione 24 ore su 24 e [del fatto che] le guardie non gli consentivano di coprirsi la testa con una coperta per agevolare il sonno. Afferma che ha avuto problemi di vista al ritorno; […] afferma anche di essere stato messo in una cella di punizione per cinque giorni per aver fatto dell’esercizio fisico nella sua cella.
Un uomo intervistato da Amnesty International nella provincia di Kandahar in Afghanistan ricorda come egli fosse uno dei 34 membri dell’esercito afghano presi in custodia dalle forze americane il 17 marzo 2002. Abdullah afferma che vennero legate le mani degli uomini dietro la schiena con manette di plastica e portati nella base americana di Kandahar. Lì – afferma – sono stati allineati e gli è stato ordinato di stare distesi sulla ghiaia, dove sono rimasti per diverse ore. Ha detto che durante questo tempo, ha ricevuto dei calci nelle costole. Dice che tutti avevano dei cappucci sulla testa e sono stati minuziosamente annusati da dei cani; gli uomini sono stati rasati sia in viso che sul corpo. Abdullah dice di essere stato rasato da una donna. Afferma che mentre lo interrogavano era ammanettato, con i piedi legati e un cappuccio in testa. In un’intervista del 30 luglio 2003, Alif Khan, di nazionalità afghana, ha raccontato ad Amnesty International di essere stato in custodia americana nella base aerea di Bagram per cinque giorni nel maggio 2002. Ha detto di essere stato ammanettato, incatenato alla cintola e con le gambe incatenate per tutto il tempo, soggetto a deprivazione del sonno, senza acqua per la preghiera e le abluzioni e interrogato una o due volte al giorno. È stato messo in una struttura simile ad una cella con otto persone, non era concesso parlare tra i detenuti. Alif Khan ha detto di essere stato trasferito nella base aerea di Kandahar dove è rimasto per 25 giorni. Di nuovo è stato tenuto in manette e catene alle gambe e alla cintola, per la maggior parte del tempo. […] Ha aggiunto che è stato sottoposto a quotidiane perquisizioni intime […] [e che] gli sono state fatte due iniezioni, una in ogni braccio, per il suo trasferimento a Cuba nel giugno 2002. Dice di non sapere cosa fosse, ma riferisce che gli hanno provocato «una sorta di incoscienza».

Due ex detenuti a Bagram […] hanno affermato che venivano fatti stare nudi, incappucciati e incatenati e temiti in piedi per ore. Uno di loro ha trascorso 16 giorni nella sezione interrogatori del complesso, stando in piedi per dieci ore finché le sue gambe sono diventate talmente gonfie che le catene gli hanno tagliato le caviglie riducendo gravemente il flusso sanguigno. Lui e altri dicono che le guardie li prendevano a calci e urlavano per tenerli svegli mentre stavano in piedi o durante gli interrogatori.

[…] Mohammad Taher ha raccontato ad Amnesty International nel maggio 2003, che ha avuto problemi mentali a causa della sua detenzione e che aveva difficoltà a ricordare le cose. Ha trascorso due mesi e mezzo nella base aerea di Kandahar prima di essere trasferito a Guantanamo, dove pensa di essere stato per circa otto-dieci mesi. […] Racconta che anche se lui non è mai stato portato in una cella di punizione, altri vi erano portati per 20 giorni, per esempio per aver rifiutato del cibo. Crede che le celle di punizione offrissero pessime condizioni. Secondo quanto riferito, le celle di isolamento erano della stessa misura delle altre ma con pareti compatte [al posto delle sbarre delle altre «gabbie»] e porte e una piccola finestra.

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